ACCADDE OGGI
Il 12 maggio del 2002 lo statunitense Andre Agassi conquistò per la prima volta il titolo degli Internazionali BNL d’Italia battendo in finale il tedesco Tommy Haas con un netto 6-3 6-3 6-0.
Erano passati 15 anni dalla sua prima apparizione al Foro Italico, quando con i capelli lunghi e tinti di biondo, i pantaloncini jeans e il suo tennis che faceva viaggiare la pallina veloce come la biglia cromata di un flipper, aveva battuto al primo turno l’azzurro Simone Colombo, allora n.100 del mondo, per poi farsi eliminare in due set dall’argentino Martin Jaite, n.17, grande specialista della terra battuta.
Eravamo nel 1987 e Andreino aveva da poco compiuto 17 anni. Nel giro di un paio di stagioni divenne una superstar e così nessuno si stupì se nel 1989, tornato a Roma per il terzo anno di fila (nonostante la sua idiosincrasia a lasciare gli Stati Uniti) arrivò di un fiato in finale. Era n.5 del mondo e fino al match decisivo contro l’argentino Alberto Mancini non perse nemmeno un set.
Non rischiò neppure di perderlo eppure tra gli altri battè Pete Sampras, Guillermo Perez Roldan e Sergi Bruguera. Nella finale contro Mancini, più affine per atteggiamenti e carattere al pubblico romano, si perse. Dopo essere stato in vantaggio due set a uno non chiude al quarto, perdendo il tie-break. E poi crollò. Finì 6-3 4-6 2-6 7-6 6-1 per il sudamericano in trionfo.
Il suo rapporto con il torneo quel giorno si incrinò e per un decennio praticamente Andre scomparve: si presentò a Roma solo nel 1991 per perdere subito contro il tedesco Jelen, in due set.
Ritornò distrattamente nel 1994, da n.20 del mondo. Passò per il rotto della cuffia il primo turno contro lo spagnolo Carbonell per poi farsi impartire una lezione di tennis su terra battuta dall’azzurro Stefano Pescosolido.
Poi scomparve di nuovo per riapparire solo nel 1999, ormai sulla soglia dei 30 anni, nella versione più saggia (e rasata a zero) che tre settimane dopo avrebbe fatto centro per la prima volta al Roland Garros, conquistando l’unico Slam che ancora gli mancava. Al Foro lo eliminò negli ottavi l’australiano Pat Rafter, che faceva ‘serve and volley’ anche sulla terra battuta.
Era ormai una superstar planetaria quella che si presentò nel 2002, un campione che aveva diviso in due il mondo con sua rivalità con Pete Sampras. Il pubblico negli anni aveva imparato ad apprezzarlo e lo aveva visto attraversare tante storie d’amore molto glamour (Brooke Shields, Barbra Streisand) lo accoglieva per la prima volta da , marito della supercollega tedesca da 22 Slam, Stephanie Graf. Un’altra eroina popolare.
Questo Andreino diventato grande e saggio disputò un torneo magistrale dominando tutti e chiudendo il torneo senza aver perso un set. Aveva imparato a gestire il servizio per aprirsi il campo e impallinare l’avversario con il formidabile diritto. Colpiva sempre un attimo prima degli altri: toglieva il tempo e chiudeva angoli impossibili.
Trionfò e ne fu felice perché, disse, “mi sono reso conto che questo torneo, al di fuori di quelli del Grande Slam, è quello che ha più storie e tradizione di tutti”. Lui che è stato l’unico nella storia a conquistare tutti i grandi titoli del tennis (i quattro Slam, le Atp Finals, la coppa Davis e l’oro olimpico in singolare) non voleva farsi mancare Roma.
IL COMPLEANNO
Sebastian Ofner: 24. Austriaco nato a Bruck an der Mur nel 1996 è attualmente n.163 del mondo ma vanta un best ranking di n.126 raggiunto il 6 maggio 2019. Nel 2017 raggiunse il terzo turno a Wimbledon partendo dalle qualificazioni e le semifinali a Kitzbuehel dopo essere entrato in tabellone con una wild card, da n.157 del mondo.