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18 maggio: Sessant’anni di Noah, che saga!

 

“Mai banale, nella vita come nel tennis. Giocatore, allenatore, psicologo sportivo, musicista, Yannick Noah è stato ed è uno dei personaggi più veri, sinceri ed eclettici del panorama tennistico mondiale. Le sue dichiarazioni, decisamente “politically incorrect”, fanno discutere da anni, così come le sue prese di posizione nei confronti di argomenti come doping e politica”: così presentavamo su SuperTennis Yannick Noah, il campione del Roland Garros 1983, quando ci apprestavamo a vederlo di nuovo in campo in Italia, per l’Atp Champions Tour, nel 2015. Il circuito mondiale delle vecchie glorie.

Oggi Yannick compie 60 anni. E’ passato un altro lustro e oltre a quei tocchi e quei sorrisi, sempre magici sul campo insieme a quelli dei vecchi amici del circuito, lui ha proseguito a collezionare imprese tennistiche vere, come la conquista di un’altra Coppa Davis da capitano, la terza. Era stato richiamato dalla FFT (Federation Francaise de Tennis) per guidare Tsonga, Gasquet, Simon, Monfils e compagni verso nuovi successi in nazionale. E non ha impiegato molto per riportare in Francia l’Insalatiera che mancava dal 2001.

Un leader in panchina – Capitan Yannick Noah era già stato protagonista di due storiche imprese transalpine in Coppa Davis.

La più eclatante fu la conquista del trofeo di Dwight Davis nel 1991, quando al Gerland Sports Palace di Lione il pubblico francese applaudì Henri Leconte e Guy Forget, capaci di sconfiggere contro pronostico gli Stati Uniti di Pete Sampras (battuto da entrambi in singolare) e Andre Agassi in una delle più esaltanti finali che la storia della Davis ricordi.

Il secondo successo giunse nel 1996, quando Cedric Pioline e Arnaud Boetsch rimontarono uno svantaggio di 0-2 in semifinale contro l’Italia, imponendosi nell’ultimo atto per 3-2 in trasferta contro la Svezia, grazie al singolare decisivo di Boetsch (10-8 al quinto a Nicklas Kulti). I giocatori erano come burattini nelle mani di Noah, che fu straordinario nella gestione della squadra meritando infiniti elogi da parte del popolo francese e degli addetti ai lavori.

Sempre sul palcoscenico – Il 1991, quello del capolavoro di Leconte e Forget, fu un anno davvero importante per il loro amico-capitano. Appesa la racchetta al chiodo, Yannick Noah si era dedicato subito alla sua grande passione per la musica. “Avevo un po’ paura di quello che avrei fatto una volta terminata la mia carriera tennistica – ha dichiarato – e mi era sempre piaciuto il mondo della musica: le prove, i concerti, le serata con gli amici. E ho trovato così il mio futuro”.

Noah incide Saga Africa, esempio di pop-reggae militante che diventa la canzone dell’estate 1991 in Francia. Da allora pubblica dieci album, compresa una collezione di cover di Bob Marley, accompagnata da singoli di successo: Take your Time con Jimmy Cliff o Angela, omaggio a Angela Davis, che canta avvolto in un panama rosso nel mega concerto in cui infiamma lo Stade de France nel settembre 2010. Chissà quanti fra gli spettatori l’avevano visto abbracciare il padre dopo il trionfo al Roland Garros del 1983.

Padre calciatore, figlio cestista – Padre camerunense calciatore, figlio tennista/musicista e nipote cestista. Lo sport come denominatore comunque della famiglia Noah.

Zacharie, il padre camerunese di Yannick, era un ottimo calciatore. Difensore centrale giocò per diverse stagioni nella serie A francese, nello Stade Saint Germain, quello che oggi è il Paris Saint Germain.

Joakim, classe 1985, figlio di Yannick e di Cecilia Rhode (Miss Svezia 1978), è un ottimo giocatore di basket in NBA: ha giocato con i Bulls, i Knicks e ora è con i Los Angeles Clippers. Alto 2 metri e 11, ha giocato nel 2007 nel ruolo di centro nell’ex squadra di Michael Jordan.

Yannick, al suo terzo matrimonio, è sposato con Isabelle Camus. Dopo Joackim ha avuto altri quattro figli: Joalukas, Eleeejah, Yelena e Jenaye.

La frase – “Quando ho scoperto che la paura, sul Court Centrale, non era diversa da quella che provavo durante un incubo, o in mare durante una tempesta, ho imparato a venire a patti, con la paura. E quando ho capito che essere felici solo perché si vince, e tristi solo perché si perde, è davvero infantile, ho fatto un piccolo progresso, non solo sul campo. Della mia vittoria al Roland Garros non mi è rimasta soltanto la gioia più ovvia, quella che segue un successo, ma l’istantanea, fulminea coscienza di un percorso vitale, da quando nelle strade sterrate di Yaoundè, nel Camerun, giocavo con una racchetta ricavata da un asse in legno, a piedi nudi. Un percorso che mi aveva condotto a abbandonare la mia negritudine, ai privilegi del bianco: solo perché vincevo, solo quando vincevo. In realtà, non ero negro o bianco. Ero soltanto umano»

Yannick, che giocatore

Classe 1960, Yannick Noah, nato il 18 maggio a Sedan, è stato uno dei giocatori più forti della storia del tennis francese, tra i pochissimi transalpini a poter vantare un posto nella Hall of Fame.

Best ranking al n.3 del mondo, Noah ha conquistato in carriera 23 titoli del circuito Atp, tra i quali spicca ovviamente il successo al Roland Garros 1983 in finale su Mats Wilander (6-2 7-5 7-6) ma subito dopo vengono gli Internazionali d’Italia del 1985, conquistati battendo nel match-clou lo slovacco Miloslav Mecir 6-3 3-6 6-2 7-6.

In Italia Yannick si è sempre trovato a suo agio: nel suo palmares c’è anche il toreno Atp di Milano, vinto nel 1988 su Jimmy Connors, che dovette ritirarsi sul 4-4 nel primo set. Ha vestito i colori della nazionale francese per 11 anni, durante i quali ha raggiunto un record, tra singolari e doppi, di 39 vittorie e 22 sconfitte.

 

ACCADDE OGGI

Il 18 maggio del 1909 nacque a Stockport, Inghilterra, Frederick John Perry, per gli amici “Fred”, il più grande giocatore inglese della storia. Prima giocatore di tennis da tavolo che tennista, fu campione del mondo nel 1929, a Budapest, dove battè in finale l’ungherese Miklos Szabados. Lasciato il tavolo per il campo di ben altra dimensione, si dimostrò altrettanto vincente, con il suo tennis molto aggressivo, basato su un diritto colpito sempre con un anticipo esasperato e seguito immediatamente a rete.

Fu presto il n.1, conquistando nel giro di tre stagioni ben 8 titoli del Grande Slam: gli Australian Open 1934, il Roland Garros nel 1935, Wimbledon per tre stagioni consecutive (1934, ’35 e ’36) e i Campionati degli Stati Uniti nel 1933, ’34 e ’36. Vincendo a Parigi nel 1935 divenne il primo tennista nella storia a conquistare almeno una volta tutti e quattro i tornei del Grande Slam.

E accompagnò queste imprese con il piglio del trascinatore in Coppa Davis: le Isole Britanniche si aggiudicarono l’Insalatiera per quattro edizioni consecutive, dal 1933 al 1936, e Fred non perse nemmeno un singolare nelle quattro finali, giocate con la formula del Challenge Round (la nazione detentrice aspettava la vincente del torneo delle nazioni Challenger, come ancora oggi avviene nella America’s Cup).

Nel 1938 passò al professionismo, dove sfidò Bill Tilden e Ellsworth Vines. Quando smise definitivamente di giocare si dedicò al giornalismo, alle radiocronache e all’abbigliamento sportivo.

Insieme al calciatore austriaco Tibby Wegner lanciò i primi polsini e fasce tergisudore. Poi passò alle magliette, prendendo a modello l’idea di René Lacoste e le sue polo in cotone con il coccodrillo cucito sul petto. Perry pensò a un simbolo più classico, ricamato direttamente sulla polo bianca: scelse la corona di alloro, presente nel logo originario di Wimbledon.

Le polo con l’alloro furono presentate nel 1952 e raccolsero un grande successo. Le vestì a lungo anche Andy Murray, il primo giocatore britannico capace di vincere a Wimbledon dopo Fred Perry. 77 anni dopo.

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