Il fratello povero del calcio è tornato all’anno zero. Il Consiglio Federale ha deciso di chiudere qui la stagione del football femminile. Mancavano solo sei giornate al termine del campionato, ma non si è riusciti lo stesso a trovare il modo di dare seguito al successo di una disciplina che, grazie ai Mondiali dell’anno scorso e a un rinnovato interesse mediatico sulla scia delle partite di Serie A trasmesse da Sky, sembrava finalmente essere uscito dal limbo.
Colpe per tutti
Invece, si dovrà ricominciare tutto da capo e bisognerà essere davvero bravi a non buttare via quello che di buono è stato fatto. Perché la chiusura anticipata della stagione potrebbe innescare la crisi di un sistema ancora fragile che a prezzo di grandi difficoltà era appena riuscito a trovare la sua strada. La responsabilità è di tutti, sia chiaro. Della Figc, che forse non ha mai avuto la sincera volontà di continuare, del calcio nella sua interezza, che guarda ancora a questo mondo come a un fenomeno irrilevante. E delle calciatrici, pure, che se erano tutte d’accordo nel rifiutare la formula dei play off, erano divise nella scelta di riprendere a giocare. Si chiude così, allora, senza scudetto, con la Juventus promossa in Champions assieme alla Fiorentina, che grazie all’algoritmo ha avuto ragione del Milan, e con Orobica e Tavagnasco retrocesse.
A un anno dai Mondiali
Fa un certo effetto che il calcio femminile sia stato messo in soffitta ad appena un anno dai Mondiali, dal boom di spettatori per le inaspettate prestazioni delle azzurre, dalle interviste a gogò, da tutte quelle attenzioni che di solito si riservano ai grandi avvenimenti sportivi. Ma già allora, a ben guardare, non era tutto oro quel che luccicava. L’anno scorso, proprio nel mezzo dello stupore per una manifestazione stravista al di là di ogni aspettativa, il calcio femminile aveva dovuto fare i conti con due brutti tracolli: due società storiche come Valpo e Mozzanica non avevano potuto presentarsi ai nastri di partenza del nuovo campionato di Serie A. Il Valpo era imparentato con il Chievo e aveva pagato subito il prezzo più alto per la retrocessione della squadra maschile. Anche la società bergamasca di Mozzanica, una formazione a suo tempo ricca di talenti che aveva consegnato ai grandi team e alla Nazionale giocatrici come Giacinti, Giugliano, Bartoli, Galli, aveva dovuto soccombere alle stesse logiche, perché alla fine il legame con l’Atalanta non aveva retto. Adesso che succederà? Altre squadre si troveranno nelle stesse condizioni? Eppure il calcio femminile dovrà subito tornare in campo, perché ad agosto ci sono già le partite di qualificazione della Nazionale per l’Europeo.
Nazionale e serie A
Con le azzurre, il discorso è diverso. La Nazionale ha catturato spettatori e sponsor e sta riuscendo a trovare una sua stabilità economica. Il suo modello è senz’altro, almeno per ora, sostenibile. Ma se è vero che fino a ieri l’attenzione dei media per i club era crescente e Sky dava visibilità al campionato, la situazione nella serie A femminile non è così rosea. Il movimento nutre fortemente l’ambizione di raggiungere il professionismo, cioè quella soglia che la innalzerebbe di livello, ma in questo caso deve fare i conti con la redditività di un mondo diverso. Senza gli introiti necessari il professionismo rimane un’utopia. Per realizzare questo sogno ci vogliono 12 squadre ben strutturate, con le spalle solide e con gli stessi diritti dei grandi. E’ evidente a tutti che la chiusura del campionato oggi allontana questo obiettivo. In Inghilterra ci sono solo club professionisti nella Premier League femminile, ma per raggiungere questo Oltre Manica hanno prima incassato i finanziamenti indispensabili e poi hanno creato un sistema chiuso che ha tagliato fuori anche società storiche come Doncaster Rovers.
Grandi club e sponsor
Adesso nella patria del football pure fra le donne ci sono solo club legati alle grandi società maschili: Arsenal, Manchester City, Manchester United, Cheslea, Tottenham. Ma soprattutto ci sono gli sponsor. Ci sono i soldi per permettere quel salto di qualità che da noi appare così lontano. Possono arrivare gli sponsor da noi, in una disciplina che è costretta a fermarsi per ordini superiori proprio nel suo momento di maggior visibilità? Chi avrà voglia di finanziare uno sport che viene relegato nel sottoscala di un mondo che non ha voglia di trainarsi dietro questa passione che riguarda alla fin fine soltanto 26mila iscritte? Che sono poche, senza dubbio, ma prima dei mondiali erano soltanto ventimila. In pochi mesi (da luglio al febbraio di quest’anno, quando il coronavirus ci ha costretti alla quarantena) il movimento sull’onda di quel successo era comunque cresciuto di seimila unità. Ora anche questa spinta si è fermata, e chissà quando riprenderà. L’unica speranza è riposta nella Nazionale, nel suo cammino verso gli Europei. Ma come ci arriveranno le azzurre alle qualificazioni senza poter giocare? Non è solo il campionato che ha chiuso i battenti. Si è interrotto anche un sogno.