Prossimo obiettivo l’Everest: parteciperà a un progetto sperimentale per contrastare con nuove tecniche respiratorie i malesseri collegati alle attività di montagna, accelerando i processi di acclimatazione
“Quando mi sono risvegliato in terapia intensiva non ero preoccupato dei danni che la meningite aveva fatto al mio corpo. Ero felice di non essere morto. E volevo riprendermi la mia nuova vita usando ciò che mi era rimasto: due pollici e protesi speciali”. In tre anni Andrea Lanfri, lucchese classe 1986, con le sue lamine da corsa ha battuto tutti i record italiani sui 100, 200 e 400 metri. E ha conquistato un bronzo europeo a Grosseto e un argento mondiale a Londra. E ha alzato la testa al cielo, sognando l’impossibile: scalare l’Everest. A distanza di tre anni e mezzo da quel 21 gennaio che gli ha cambiato la vita – si legge in una intervista su ‘Il Tirreno’ – Andrea si sta avvicinando sempre di più a quel sogno che sembrava impossibile. Pochi giorni fa ha toccato il cielo a 4556 metri. Vetta del Monte Rosa. Aggiungendo alla corsa e alla scalata anche l’alpinismo alla sua infinita voglia di vivere e stupire. “Un amico, Moreno Pesce, mi ha chiesto se volessi partecipare come volontario e testimonial a un progetto di ricerca unico al mondo – racconta Lanfri. Si tratta del “One Project Research”, sigla che sta per oxygenated natural emotion project”. Dietro la sigla c’è il primo studio di ricerca sperimentale, ideato da Albero Oro, sulla possibilità di contrastare i malesseri collegati alle attività in montagna con tecniche respiratorie specifiche.
“Questo permette di accelerare i tempi di acclimatazione e contrastare il mal di montagna – racconta il campione lucchese -. Sono stato, insieme a tutta la spedizione composta, compresi i medici, da 25 persone, nella scalata al Monte Rosa. Siamo partiti da Staffal a 1800 metri e in quattro giorni abbiamo raggiunto la vetta. Il primo dislivello al rifugio Mantova a 3500 metri. Uno dei passaggi più difficili il passaggio sul ghiacciaio del Lys oltre i 4000 metri”. Un percorso non semplice, tanto che al bivacco dopo il passaggio sul ghiacciaio molte persone hanno deciso di fermarsi per i malesseri dovuto alla quota e alla stanchezza. Non Andrea Lanfri, che -si legge sempre su ‘Il Tirreno’ ha proseguito senza rallentamenti seguendo la tabella di marcia fatta di 200 metri all’ora di dislivello con una sosta di un’ora ogni tre ore di salita per far abituare il corpo all’altitudine. Una vera impresa per lui che, pur amando l’arrampicata e la montagna, mai si era cimentato con l’alpinismo. “Questa, però, è stata solo una sorta di prova generale – confessa Lanfri che guarda sempre più in alto -. Nel 2019, infatti, l’obiettivo è di scalare la leggendaria vetta dell’Everest. “Quella del Monte Rosa era soltanto la prima tappa del progetto One – conferma l’atleta paralimpico toscano -. Mi sto già preparando per la scalata alla vetta dell’Aconcagua, in Argentina. Saranno 6292 metri sul livello del mare. Una bella sfida già fissata per il gennaio 2019”. Saranno quattro anni esatti da quando la meningite ha “divorato” parte del suo corpo. Ma non la sua anima. Quell’anima viva e indomita che Andrea proverà a portare verso il sogno più grande. Il balzo dal letto di ospedale agli 8848 metri della vetta dell’Everest. Fino a ora ci è riuscita, nel maggio scorso, una sola persona con doppia amputazione alle gambe: il 70enne cinese Xia Boyu. Alpinista che aveva perso le gambe per un congelamento nel 1975 proprio nel tentativo di conquistare il “tetto del mondo”.