Ogni giro, ogni passo, ogni respiro, anche intermittente per la fatica e la pista che non finisce mai, va nella direzione della leggenda. A Montecarlo, nella prima tappa vera e propria della Diamond League di questo tribolato anno (la prossima il 23 agosto a Stoccolma e poi il Golden Gala a Roma, forse all’Olimpico, il 17 settembre), si scrive un pezzo di storia del mezzofondo. L’ugandese Joshua Cheptegei, il ragazzo 23enne, il ragazzo semplice che crede in Dio ma soprattutto che, a tempo non troppo perso, prova a convincere anche gli altri alla fede, il campione del mondo in carica dei 10 mila con la vittoria di Doha, uno dei rappresentanti di un paese schiacciato da terribili dittature ed entrato nella storia dell’atletica con John Akii-Bua, che vinse l’oro nei 400 ostacoli ai Giochi di Monaco di Baviera del 1972 e fu tra i perseguitatI dal regime di Amin Dada (evitò la condanna a morte soltanto fuggendo in Germania): insomma Cheptegei ha stabilito il nuovo record del mondo dei 5 mila metri. Il tempo fa paura a leggerlo: 12’35”36 in una gara costruita inizialmente dalle lepri, che sembrava avessero impostato un ritmo folle, e poi affinata dalla grandezza di questo fenomeno con tre giri finali da spavento puro.
Il primato di Bekele da superare
Nella serata in cui era prevedibile che cadessero tante migliori prestazioni mondiali dell’anno (dato che si è gareggiato poco per la pandemia), Cheptegei ha fatto di più: la storia. È una questione di attimi, sovrapposti uno all’altro, di secondi, di centimetri, ma anche di atteggiamento, di spiritualità dello sport. Non si fanno record del mondo per sbaglio. E da superare c’era una montagna, rappresentata dalla prestazione e dal nome di chi ne fu l’autore: infatti il precedente primato apparteneva a Kenenisa Bekele, che il 31 maggio del 2004 corse a Hengelo, in Olanda, in 12’37”35. Per compiere questo miracolo sportivo, Cheptegei si è migliorato di quasi ventitré secondi: aveva un personale di 12’57”41. Roba che capita una volta nella vita.
Cancellato anche l’europeo di Farah
Storia anche per il più piccolo della famiglia dei norvegesi Ingebrigsten, Jakob, 20 anni, che ha strappato a un’eminenza (vagamente grigia) come Mo Farah il record europeo dei 1500: 3’28”68. Ma storia e soprattutto bellezza e mistero fusi insieme (l’atletica di altissimo livello fonde sempre qualcosa di oggettivo e qualcosa di magico, qualcosa di percepibile e qualcosa di extra-sensoriale) anche per il suo connazionale Karsten Warholm, una delle stelle più luminose dell’atletica del dopo-Bolt, che ha corso i 400 hs, di cui è doppio campione del mondo in carica, in 47”10, a diciotto centesimi dal suo personale, con una gara apparentemente “normale”: segno che se dovesse prendersi finalmente il record del mondo, che appartiene ancora a Kevin Young, che lo ottenne nientemeno che a Barcellona nel ’92 (46”78), non ci sarà più nulla di cui stupirsi. Grande serata che fa venire tanta rabbia per quello che è stato necessario cancellare, Tokyo inclusa. Serata illuminata anche anche dal fantasitco 19”76 di Noah Lyles nei 200.
Fonte www.repubblica.it