Un centimetro alla volta può fare non solo la differenza ma la storia. Nell’atletica i muri sono fatti apposta per essere superati. E quando lo si fa con un’asta in mano, l’operazione è quanto mai evidente. Col suo 6,15 Duplantis ha tolto Bubka anche dalla vetta dei primati outdoor, dove troneggiava da secoli col suo 6,14, dopo aver già staccato lui e Lavillenie a febbraio dalla sommità dei primati indoor. Ora non c’è dubbio. Nemmeno prima ce n’erano di dubbi, se è vero che l’asta prevede l’equiparazione dei primati al coperto e negli stadi. Quindi Duplantis era già primatista del mondo assoluto prima del Golden Gala e il 6,15 di Roma non è il nuovo record del mondo ma un sigillo ulteriore o meglio la definitiva conferma di chi sia l’erede di Bubka e Lavillenie. Attenzione però. Chi arriva lassù sa che per riuscirci ha bisogno delle altrui prestazioni appena superate: sono loro le vere spinte elevatrici. Sbagliato dire “Duplantis cancella Bubka”. Semmai “Duplantis onora Bubka, scavalcandolo”. Il passato serve al presente come il presente è fonte d’ispirazione per il futuro. Immaginiamo i vecchi record dell’asta come tante asticelle invisibili poste qualche centimetro sotto. Esse sostengono l’ultima asticella, la più alta. Con la loro fantomatica presenza, è come se aiutassero l’ultima asticella, quella reale, a rimanere sui ritti, se appena sfiorata. I vecchi record sono dei talismani, degli elisir di lunga vita e di lunga asta. Armand, per gli amici “Mondo”, è il Duplantis più forte della famiglia. Ha compiuto 20 anni lo scorso novembre ma vede le stelle e tocca il cielo da quando ne aveva 14, da quando cominciò a servirsi di una canzone degli Eagles ascoltata da suo padre per trovare la giusta propulsione (“Take it to the limit”). E’ nato a Lafayette, in Louisiana, ma dal 2015 gareggia per la Svezia da cui proviene sua madre Helena Hedlund, ex-eptatleta e pallavolista. Suo padre Greg è stato un ottimo astista (5,80), ma non come lui, non come lui che a 7 anni già saltava 2,33 nonostante sognasse di diventare un grande velocista. A 12 anni fu colto da un dubbio: “E se mi piacesse di più il baseball?” Ci pensò. Decise che no, che amava più l’atletica. Sospiro di sollievo. Di lui dicono anche che faccia bene l’imitatore. Delle tecniche altrui: “A richiesta interpreta il mio salto”, dice il suo amico e rivale Sam Kendricks, “oppure quello di Lavillenie”.
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E’ uno spettacolo vederlo salire, Armand: rende semplice l’infinitamente complesso. E nulla più del salto con l’asta può definirsi tale: vi sono così tanti elementi da curare, sistemi da attivare, vi sono così tanti ingredienti da amalgamare che sono più i ragazzi che abbandonano l’attrezzo di quelli che proseguono. E’ come se si dovesse ricapitolare, in un solo atto, la leggerezza del proprio corpo senza tralasciarne la potenza. Quasi impossibile. Eppure Duplantis, a soli 20 anni, è andato oltre chiunque, forse persino oltre le sue stesse aspettative. Prima di lui, nessun 20enne aveva mai superato i 6 metri. A Torun, nel febbraio scorso, prima di arrivare a grattare il tetto del palazzetto, aveva già stabilito il suo primato personale con 6,01. Ma sapeva di avere in canna il colpo della vita. E anche di più. 6,17 a Torun, 6,18 a Glasgow. Spettacolare. Duplantis ha trasformato i 6 metri in una misura d’entrata, mentre per anni era stata un Eldorado della specialità. Un po’ come aveva fatto la Isinbaeva con i 5 metri e come sta facendo Warholm con i 47” nei 400 hs.
A Roma (la Rai ha miracolosamente trovato il modo di mandare lanci tg e pubblicità proprio nel momento in cui Duplantis saltava 6,15!) il ragazzo confermava di essere destinato a gareggiare spesso da solo: se non c’è Kendricks, se non c’è Lisek, gli altri si battono per le misure del “sottosuolo”, mentre lui aspetta. E’ un po’ la croce della superiorità: non aver nessuno intorno. Salvo coloro che per istinto alla condivisione, continuano a gironzolare per la pedana in attesa che il campione scarichi a terra, in nome di tutti, vincitore e vinti, la sua forza creativa, per cominciare a volare. Ma non si entra dentro un ascensore perché qualcuno ti ci spinge dentro. Bisogna lavorare. Crescere ogni giorno, anche quando pensi di essere arrivato al punto chiave. Che in atletica non esiste. C’è sempre un granello da aggiungere e una tossina da eliminare o una giornata no da metabolizzare, sempre un allenamento da rettificare e un aspetto tecnico da migliorare. Insomma l’ascensore te lo devi costruire da solo. Anche la posizione dei ritti (che nell’asta sono mobili, a differenza di quelli dell’alto, ossia un atleta può decidere di avvicinarli o allontanarli dal punto di stacco entro un range delimitato), così come la forza per portarsi dietro un’asta più lunga e pesante durante la rincorsa, sono elementi decisivi. Mai casuali. E Duplantis è tutte queste risorse racchiuse in un solo volto, in due gambe, due piedi, che sono cambiati tanto negli ultimi anni. Sono evoluti. Tre anni fa, a guardarlo in gara, sembrava un collegiale in viaggio premio, un teenager alla scoperta del mondo. Ora “Mondo” è lui. La gang dell’asta mondiale è un gruppo di amici che vagabondano per le pedane del pianeta scambiandosi il cinque (quando si poteva), consigli, sorrisi, applausi. Duplantis e Kendricks (che a Roma però non c’era), praticamente due americani, se vogliamo Mississippi e Louisiana uniti per un obiettivo comune, la felicità dello sport, ci dicono che se le gare fossero sempre come le loro, se fossero sempre quella dell’asta che abbiamo vissuto qualche giorno fa a Losanna, tutti insieme, non importa se vicini o lontani, se tra la folla (1000 persone) di Place d’Europe o dalla televisione o in streaming, sarebbe quasi inutile aspettare un’Olimpiade. Eh già, potenza dell’agonismo che sbugiarda i traguardi tradizionali, sbandierati, veri ma a questo punto non sempre indispensabili. I due grandi dell’asta, i due ragazzi americani, ma uno con passaporto svedese, campioni di bellezza e persino di amicizia, hanno fatto venire le lacrime agli occhi a tutti coloro che hanno e avranno per sempre a cuore le sorti dell’atletica. E così accadrà domani e dopodomani.
Duplantis e Kendricks hanno fatto volare, oltreché se stessi, anche l’idea coraggiosa del presidente Coe di tradurre, di traghettare nuovi formati, che da Losanna sappiamo adesso essere territori anche per grandi prestazioni. Come una vera Diamond League. Viaggiare verso l’alto, oltre i sei metri, è un’impresa che questi due ragazzi hanno da tempo cominciato a sdoganare con un’impressionante continuità. Come detto, anni fa saltare 5,90 voleva dire vincere un mondiale (il grande Gibilisco a Parigi nel ’99). C’è un ultimo aspetto: l’appeal mediatico. Ciò che ieri sembrava roba da astronauti, oggi grazie a Duplantis (e a Kendricks) è una pietanza capace da sola di portare spettacolo a tutti, anche in piazza, anche presso che non sapeva bene cosa fosse il salto con l’asta.
Vederli saltare, questi ragazzi, tra la gente, nel vero senso della parola, o nel vuoto di uno stadio, nel vero senso della parola, è qualcosa che comunque vale più delle misure saltate: vale una resurrezione dopo le difficoltà, vale quanto può valere una salute riconquistata dopo una convalescenza vissuta nella paura, dal sistema sportivo così come dalla società mondiale dal quale esso prende vita. Il mondo è più bello se salta Duplantis. E’ come se, con lui, saltassimo tutti.
Fonte www.repubblica.it