Un centimetro: appena un centimetro lo separa adesso dai 22 metri (21,99 domenica pomeriggio agli Assoluti di Padova), che sono la soglia agonistica e psicologica superando la quale si accede al mondo dei grandi, alla sfera del talento, nello spazio del riscontro di altissimo livello. Leonardo Fabbri, già da tempo il secondo italiano di sempre dopo Alessandro Andrei, è un esteta concreto, lancia il peso con una vigorosa dolcezza, riassume alla perfezione i contrasti della sua disciplina, potenza e fluidità combinati in un solo gesto, che alla fine è la somma di cento dettagli scandagliati in allenamento uno dopo l’altro. Con il suo allenatore e mentore Paolo Dal Soglio, l’ultima stella italiana del peso prima di Leo, il migliore tecnico che si possa immaginare per uno che desideri intraprendere quella strada, il ragazzo sta costruendo una carriera che punta “non tanto a Tokyo, ma a Parigi ’24”. Perché in fondo il gigante Leo, un gigante buono dalle movenze alate, è ancora un leoncino di 23 anni che gareggia per l’Aeronautica Militare, tifa Fiorentina e ha un futuro già ben delineato davanti, come una padella in cui si stanno insaporendo gli odori che porteranno a un piatto straordinario.
E adesso Leonardo?
“Adesso eccoci qui. Me ne resto a Schio con il mio gruppo di allenamento a preparare le prossime gare (lui vive a Firenze, ndr). Devo continuare a progredire, a migliorarmi, a perfezionare quel che c’è da perfezionare. Ed è ancora molto”.
Se lo sentiva che quel lancio sarebbe uscito così lungo?
“Beh, sì, uno se ne accorge che il movimento è corretto. Io poi ho un segnale preciso, il piede sinistro. Se mi accorgo che spingo tanto vuol dire che l’assetto è giusto, la forza è erogata nei tempi e nei modi corretti, e la velocità è quella che serve. Però, onestamente non immaginavo fosse così lungo…”.
Dove può migliorare?
“La prima cosa che mi viene in mente è la palestra. Sono ancora in costruzione. Pensi che io, nella panca piana, sollevo soltanto 130 chili, mentre i miei avversari più nobili, penso all’americano Crouser, sollevano anche 300 chili. Ho ancora molto da aggiungere. Ma va fatto con il buon senso e attraverso la programmazione, step by step. La forza va bene, ma i pesi vanno sempre misurati con la velocità di esecuzione che ti fanno esprimere. Se alzi tanto, ma vai lento, allora non serve a molto. I muscoli devono esserci ma devono anche restare capaci di muoversi rapidamente. Ora ci stiamo ancora concentrando sulla tecnica. Per la forza c’è tempo”.
Domenica ha festeggiato in pedana con gesti che tradivano purezza, spontaneità, la cosa più lontana da una coreografia preparata…
“Non ho mai pensato di studiare un modo per festeggiare. Non mi sembra cosa mia. Domenica ero semplicemente contento e me ne sono stato lì a scaricare la gioia per conto mio. Io sono un po’ così, me ne sto sulle mie, e così la prima cosa che mi è venuta in mente è stato di fare quei gesti da ragazzino emozionato che mi venivano dal cuore. Poi ho abbracciato il mio allenatore”.
Il peso maschile è una delle discipline più “in” degli ultimi due anni, insieme con i 400 ostacoli maschili. Il livello mondiale è super e lei con il suo 21,99 è il secondo al mondo dopo, appunto, Crouser (22,91).
“Livello alto e stimolante. Sono felice per questo. Ti abitui a non contentarti mai, intorno hai soltanto fenomeni, Crouser, Kovacs, che quest’anno però non ha gareggiato, Walsh, Haratyk, Romani, Hill, tutta gente abituata a stare sopra i 22 metri”.
Avere un allenatore che è anche un fratello maggiore, un padre, un ex pesista, un amico, è un vantaggio supplementare?
“Sì, senza alcun dubbio. Paolo ne ha passate tante e sa come far passare le sue esperienze, renderle un nutrimento. Da noi è come nella bottega dell’artigiano: il titolare insegna all’apprendista. E io sono un apprendista fortunato. Ma attenzione: bisogna anche imparare a fare l’apprendista, ascoltare, capire, recepire”.
Quando è iniziata la sua scalata?
“Quando ho capito che dormire, mangiare, allenarmi fossero la parti di un unico percorso. Diciamo quattro anni fa…”.
E tecnicamente?
“Si cresce quando esegui ciò che ti chiede l’allenatore. Il primo segnale è il numero di allenamenti di qualità che riesci a mettere in fila. E poi le tante gare sopra i 21 metri, che danno solidità psicologica”.
Ma in allenamento lei capisce quanto potrà poi lanciare in gara. Ha dei riferimenti sicuri?
“In allenamento non lanciamo mai con il peso da gara, ma con pesi da 6.8 kg (il peso da gara è di 7,260 kg). E devo dire che neanche con il peso più basso lancio come in gara, dove contano anche gli aspetti nervosi, psicologici, dove l’adrenalina e la concentrazione diventano decisive”.
Cosa l’aspetta?
“Ora un trittico di gare nell’est: Chorzow in Polonia il 6 settembre, Ostrava in Repubblica Ceca l’8 e a Zagabria il 14. Poi il 17 vengo a Roma per il Golden Gala”.
A Tokyo ci pensava prima che la cancellassero?
“Nella difficoltà e nella confusione emotiva del lockdown ero quasi contento di avere un anno in più per conoscermi meglio e affinare le mie armi agonistiche. Sapevo di valere più del 21,59 lanciato agli Assoluti Indoor di Ancona. Ma onestamente 21,99 non me l’aspettavo: pensavo di non valerlo ancora. Forse mi sbagliavo…”.Fonte www.repubblica.it