Va bene tentare di assecondare i cambiamenti in corso, sociali e sportivi. Va bene comprendere ciò che sta mutando geneticamente, culturalmente e anagraficamente, nel mondo dell’atletica, quel mondo di professionisti, tecnici, appassionati e dirigenti che la vive, la segue, ci vive, ci spera, ci sogna. Va bene intuire nuovi spazi, che a volte diventano veri e propri spiazzi, cioè piazze, per la celebrazione del rito delle gare (si cominciò, forse ricorderete con il lancio del peso nella “Hauptbanhof” di Zurigo) e si è proseguito con l’individuazione di una nuovo tipologia di evento (la street athletics). Va bene persino adeguarsi agli hard times, così li ha dickensianamente definiti Lors Sebastian Coe, il presidente della World Athletics, primo sostenitore delle energie rinnovabili e sostenibili di uno sport in difficoltà (ma non meno di altri), far di necessità virtù e metter mano, temporaneamente, solo temporaneamente, a certi format, come quelli del mezzofondo, così da venire incontro ai problemi, non chiarissimi, di distanziamento.
L’ultima proposta
Ma non toccate il salto in lungo. Non toccate la tradizione di campo dei salti, dei lanci. Non violentate quel misto di emotività, tecnica, concentrazione. Non fate questo errore. Si ritorcerebbe contro l’intero sistema, sempre che il sistema non si ribelli prima. L’ultima proposta, veramente difficile da condividere, non ha proprio senso: si vorrebbe provare a trasferire anche nelle grandi manifestazioni come le Olimpiadi o i Mondiali il format sperimentato in Diamond League. Ossia: immaginiamo la finale olimpica del salto in lungo, vi partecipano diciamo 12 concorrenti, dopo tre salti, come da regolamento, ne rimangono 8. Non basta più: l’idea è che l’ultimo salto, il sesto, sia riservato soltanto alle prime tre in classifica in quel momento. Ma attenzione: esse salteranno senza tener conto delle misure ottenute in precedenza. Cancellato tutto. E per cosa? Perché complicarsi la vita? Per rendere più spettacolare il lungo o un altro concorso? Siamo sicuro che lo si renderebbe più spettacolare? E non più cervellotico e antisportivo?
Una gara che ha creato leggende
Ragioniamo. I cambiamenti, almeno in teoria, servono a migliorare le cose. Nel regolamento dei salti non c’è niente da migliorare. Vanno benissimo così. Così sono andati avanti per anni, con la loro danza di esplosione di energia e di attesa hanno creato leggende, l’alternanza di salto e riposo, osservazione dell’avversario e attesa, il controllo dei nervi, la concentrazione, quell’aspettare che il vento contro cali leggermente o magari ne salga un po’ di favorevole. I salti sono spettacoli a sé. Perché mutarli al punto da costringere i campioni o i campioncini a risolvere tutto in una mano di dadi? Non è tanto questo fatto di ridurre a tre i partecipanti all’ultimo salto, che è comunque già un “vulnus” abbastanza inspiegabile, quanto il fatto che non si intenderebbe più tener conto di quel che si è fatto prima, di tutti i salti precedenti: quell’ora abbondante, in pratica, non significa più nulla. Ma la domanda resta: perché? Perché bisogna semplificare? Questo non è semplificare? Perché i tempi cambiano? Ma non sempre cambiano in meglio e allora meglio che proteggere qualche valore ancora accettabile e credibile. Insomma se il problema fosse la percezione del pubblico, l’accesso del nuovo pubblico alla “complicata” atletica, forse bisognerebbe tornare a diffondere il messaggio della cultura dell’atletica, piuttosto che banalizzare i concetti.
Il recordman senza medaglia d’oro
È come se, dopo aver scoperto che i visitatori di un museo non riescono più a capire il cubismo, i suoi responsabili, di notte, raddrizzassero gli occhi dei quadri di Picasso. E’ vero: per arrivare tra i primi tre bisogna saltare comunque. Ma è imbarazzante pensare che coloro che sanno di atletica, hanno sudato in campo, vissuto le sensazioni che solo il campo sa regalarti, possa aver concepito una soluzione così mortificante per il senso stesso di una disciplina, anzi di tante discipline. Cancellare tutto per giocarsela con un salto solo, che automaticamente fa salire l’elemento della casualità a giudice del risultato finale. Forse questa decisione non andrà in porto ma se fosse, potrebbe accadere che un atleta ha appena stabilito il nuovo record del mondo del salto in lungo e non vincere la gara perché nel salto finale fa un nullo. E tutto, restando al salto in lungo, alla vigilia dei 30 anni dai Mondiali di Tokyo ’91, quando Powell e Lewis si resero protagonisti della più straordinaria gara di lungo della storia, col record del mondo di Powell ancora imbattuto (8,95). Proprio a Tokyo vogliamo svergognare la storia con un lungo formato giochi senza frontiere. No.
Taylor: “Allora tiriamo a sorte”
Non toccate il lungo. La World Athletics sta cercando, è chiaro, di parlare alla nuova gente, che spera di portare sempre più numerosa negli stadi del futuro. Alcune idee sono funzionali, altre pericolosissime. E fuori s’è levato il coro delle proteste, unito, mai così forte e deciso: “Questa non la chiamerei innovazione, ma casino puro”, dice Thianna Bartoletta, campionessa olimpica americana di lungo. Sacrificano la tensione e la cultura di uno sport per regalare, almeno così mi pare di aver capito, al pubblico un acme drammatico, senza rendersi conto che non c’è momento nell’atletica che non sia drammaticamente romantico”. Sperano tutti che l’idea tramonti. “E poi spiegatemi voi”, dice Christian Taylor, la stella del triplo maschile degli ultimi dieci anni, “perché questa riforma dovrebbe essere migliore del formato tradizionale. Allora tanto vale giochiarsela a pari e dispari. E non vengano a dirmi che cercano di dare la possibilità agli atleti di esprimersi sotto la massima pressione. Primo: non siamo cavie. Secondo: la pressione è sempre altissima, ma evidentemente molti non lo sanno”.
Larissa: “Semplice: vince chi salta più lontano”
In piena armonia con quelle dei suoi colleghi, le parole di Larissa Iapichino, che torna al paradosso del record del mondo “ignorabile”: “Non c’è alcuna ragione di cambiare un format di successo da anni. Inoltre in questo modo si stravolge completamente la competizione compromettendo l’equità del risultato finale che rischia di non premiare il salto più lungo nel totale della gara, se fatto nei primi cinque salti. E non c’è niente di spettacolare anzi il contrario. Un concorrente potrebbe fare il record del mondo al primo salto e poi non vincere la gara all’accesso al best 3. Semplicemente assurdo. Il salto in lungo è un evento semplice: vince chi salta più lontano”. E a volte si vince anche con la tattica… “Mi auguro soltanto”, ricorda Fabrizio Donato, bronzo azzurro nel triplo a Londra nel 2012, “che alle parole non seguano i fatti. Se fanno tutto questo per accelerare i tempi o venire incontro a fantomatiche esigenze televisive, si ricordino di quello che è successo quando cambiarono le regole sulla falsa partenza”. Niente fu più come prima. Infatti è peggio di prima. Ben vengano le sperimentazioni. Ma ben venga qualcuno che le accantoni. Ragazzi, per carità, non toccate il salto in lungo.
Fonte www.repubblica.it