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Australian Open 2020, le dieci cose che resteranno

Sofia Kenin vince il suo primo torneo dello Slam a Melbourne, confermando che nel tennis femminile c’è grande spazio per nuove campionesse. Tutta un’altra storia nel settore maschile, dove per trovare un nuovo campione Slam è necessario tornare a US Open 2014, con la vittoria di Marin Cilic. Da allora, nessun nuovo campione in un Major, mentre tra le donne le nuove campionesse sono state ben 11: Angelique Kerber, Caroline Wozniacki, Naomi Osaka, Garbine Muguruza, Jelena Ostapenko, Simona Halep, Ashleigh Barty, Flavia Pennetta, Sloane Stephens, Bianca Andreescu e Sofia Kenin.

Novak Djokovic insuperabile in Australia

Novak Djokovic si conferma imbattibile nella finale degli Australian Open, otto successi in otto apparizioni. Ha lottato e sofferto cinque set contro un indomito Dominic Thiem, superando anche un momento di difficoltà fisica tra secondo e terzo parziale, ma alla fine è stato bravissimo a ritrovare il suo miglior tennis nella fase decisiva dell’incontro. L’Australian Open è un torneo durissimo per le sue mutevoli condizioni, Novak dimostra ogni anno di esser il più pronto ad adattarsi e di possedere il tennis più completo. La vittoria consegna a Djokovic il 17esimo Slam in carriera e il ritorno al n.1 del ranking ATP, e lo mette potenzialmente a caccia di un clamoroso Grande Slam. Sarebbe un’impresa titanica, ma il serbo è l’unico ad esserci andato davvero vicino nelle ultime decadi (vinse tutti e quattro i Major in fila tra 2015 e 2016, ma a cavallo di due anni solari) e questo successo ribadisce la sua superiorità su tutti i rivali. Nadal non molla, i giovani ci provano, ma l’uomo da battere resta Novak Djokovic.

Il torneo della svolta per Nick Kyrgios?

L’Australiano Nick Kyrgios è stato uno dei grandi personaggi dell’Australian Open 2020. Ha infiammato la Melbourne Arena con il suo tennis unico, ricco di istinto e giocate spettacolari, fino alla bellissima partita disputata contro Rafael Nadal negli ottavi, persa lottando alla pari contro il campione iberico. Più del risultato tecnico, il Kyrgios ammirato nel primo Slam della stagione ha impressionato per un’insolita calma e focus sul gioco, proprio quello che gli è sempre mancato per passare da talento estemporaneo a tennista “da corsa” nei grandi appuntamenti. Chissà che la brutta faccenda dei disastri ambientali nel suo paese e come lui si è speso per sostenere la causa non l’abbia responsabilizzato, facendo scattare un “clic” dentro di sé, sentendosi parte di un qualcosa di più grande e importante, una causa da vincere anche grazie alle sue prestazioni. Finora in carriera ha reso al meglio quando si è sentito parte di un team o ha trovato una sfida, un nemico, uno stimolo molto forte per dimostrare qualcosa, piazzando degli acuti memorabili. Avere un talento come Kyrgios competitivo per tutta la stagione sarebbe un’acquisto notevole per il tennis di vertice e per lo spettacolo. 

Nick Kyrgios Quinto set: il super tiebreak a 10 funziona Si è molto parlato sulla totale difformità della conclusione del quinto set negli Slam, tra la difesa della tradizione (a Roland Garros si va ad oltranza) ed i tiebreak disputati con modalità diverse a Londra, New York e Melbourne, con l’obiettivo di rendere certa la fine di un match maratona. La decisione degli Australian Open di risolvere il quinto set con un super tiebreak a 10 punti scatenò parecchie polemiche, ma in realtà quest’anno la prova del campo ha convinto, riscontrando anche il gradimento del pubblico. Arrivare a 12 giochi pari come a Wimbledon rende il quinto set molto lungo; il classico tiebreak a sette punti di US Open è coerente col resto della partita ma consente poche possibilità di recupero, vista l’importanza del servizio. Il super tiebreak a dieci punti invece è una soluzione rapida ma lascia al giocatore in svantaggio il tempo di riprendersi, allungando di pochi ma importantissimi punti il finale thrilling di un match lottato. Le emozioni regalate dai super tiebreak di Federer vs. Millman e Kyrgios vs. Khachanov resteranno tra le più intense degli Australian Open 2020. Tennys Sandgren, il “Villain” che non t’aspetti

Uno dei protagonisti a sorpresa degli Australian Open è stato certamente l’americano Tennys Sandgren. Abbiamo scoperto l’ottimo stato di forma del 28enne del Tennessee nel secondo turno, quando ha superato in cinque set un Matteo Berrettini non al meglio con il suo tennis potente. Quel successo gli ha conferito grande fiducia: dopo aver strapazzato Sam Querrey ha sfidato anche Fabio Fognini, superandolo in quattro lottatissimi set in un match assai complicato e ricco di tensione. “L’ammazza italiani” si è guadagnato un posto ai quarti e la sfida con Roger Federer, arrivando ad un passo dallo sconfiggere il campione svizzero in una Rod Laver Arena attonita. Non ce l’ha fatta di un niente, incapace di trasformare uno dei sette match point conquistati. Bravo Federer, ma Sandgren in quelle occasioni non è mai riuscito a liberare la potenza della sua prima di servizio o quel dritto pesante con cui ha tramortito i rivali nel torneo. Già nel 2018 Sandgren era sbarcato ai quarti in Australia, uno dei pochi acuti di una carriera costellata da infortuni e scadimenti di forma. Carattere non facile e personaggio “scomodo” per alcuni commenti non propriamente politically correct, è la classica mina vagante da evitare nei grandi tornei, vista la potenza dei suoi fondamentali.

Serena, l’ossessione del n.24 non aiuta

Serena Williams rimanda l’appuntamento con la storia. La campionessa americana era sbarcata a Melbourne in ottima forma dopo il primo torneo vinto da mamma ad Auckland, pronta a strappare l’agognato 24esimo titolo Slam e così uguagliare il record assoluto di Margaret Smith Court. È caduta improvvisamente al terzo turno sotto i colpi della cinese Qiang Wang, ma è caduta anche nella conferenza stampa post partita. Molto nervosa per la sorprendente battuta d’arresto, ha risposto in modo scontroso alle domande della stampa nel post partita, con alcune allusioni poco eleganti. Una caduta di stile per una campionessa così grande e stimata, esempio di classe e combattività per tutte le giovani colleghe. La rincorsa al record assoluto forse sta diventando un’ossessione che non la aiuta a giocare con serenità il suo miglior tennis. 

Ciao e grazie Caroline

L’addio al tennis di Caroline Wozniacki è stato uno dei momenti più toccanti nella prima settimana degli Australian Open. La danese, ex campionessa a Melbourne nel 2018, aveva annunciato che il primo Slam dell’anno sarebbe stato il suo ultimo torneo, per salutare il tour di fronte a quel pubblico che l’aveva vista alzare la coppa più importante della propria carriera. Ha corso e lottato come sempre, fino all’ultima palla out, quella che ha decretato la sconfitta nel terzo turno contro Ons Jabeur. È uscita di scena con grande classe, sottolineando il suo amore per il tennis, il sogno di una ragazzina che dalla piccola Danimarca è riuscita ad arrivare in vetta al tennis femminile, con tanta fatica e sacrificio senza mai perdere il sorriso, pronta a concedere l’onore delle armi alle rivali, spesso più attrezzate di lei. Caroline è stata una n.1 non tra le più forti, non ha mai posseduto un tennis straripante e nemmeno colpi mozzafiato, ma è stata un’atleta encomiabile, leale in campo e fuori. Si è dimostrata persona semplice in ambiente assai complicato, animato più da gelosie che da sincere amicizie, e forse proprio per questo nello spogliatoio dei tornei mancherà ancor di più. 

NextGen rimandati C’era grande attesa alla vigilia per scoprire se i NextGen esplosi nel 2019 fossero “da corsa” per il titolo degli Australian Open 2020. La risposta del campo è stata secca: rimandati. L’unico a convincere è stato il meno atteso, il tedesco Alexander Zverev, giunto in semifinale con un tennis finalmente offensivo ed una prima di servizio efficace. Molto deludenti i canadesi Denis Shapovalov e Felix Auger Aliassime, usciti troppo presto; ma anche Stefanos Tsitsipas, disarmato dalla potenza di Milos Raonic al terzo turno, e Daniil Medvedev, rimontato dalla ritrovata condizione di Stan Wawrinka. Andrey Rublev era lanciatissimo nel torneo, ancora imbattuto nel 2020, ma la sua progressione si è infranta contro il tennis tattico di Zverev. La sensazione è che ancora non riescano a trovare quella costanza di rendimento e forza fisica necessarie a superare una serie di sfide contro giocatori più esperti negli Slam. Ons Jabeur apre la strada al tennis femminile arabo Viviamo a livello internazionale in un’epoca non facile per il mondo arabo, spaccato in troppe divisioni e contrasti che influiscono pesantemente nella vita sociale e anche nello sport, con le donne ancor più in difficoltà nell’esprimere il proprio potenziale. Per questo la storia della tunisina Ons Jabeur è una delle pagine più belle raccontate dagli Australian Open 2020. Cresciuta tennisticamente nel suo paese, la Jabeur ha approfittato di condizioni di gioco non molto rapide per esprimere il suo tennis molto completo sul lato tecnico. Ha disputato uno splendido torneo, superando ottime tenniste come Johanna Konta, Caroline Garcia e Caroline Wozniacki issandosi fino ai quarti, dove la varietà dei suoi colpi non è riuscita a scalfire il muro alzato da Sofia Kenin, lanciata verso il titolo. La Jabeur è la prima tennista araba a raggiungere i quarti di finale in uno Slam, segnando un risultato storico. Donne “piccole” vincenti, nuova tendenza negli Slam

Sofia Kenin con i suoi “soli” 170 cm di altezza conferma la tendenza degli ultimi Slam rosa: tutte vincitrici non molto alte. All’ultimo US Open la coppa è andata a Bianca Andreescu, alta 170 cm; Wimbledon 2019 è stato vinto da Simona Halep, alta 168 cm; l’edizione 2019 di Roland Garros dalla n.1 WTA Ashleigh Barty, la più piccola del lotto con “soli” 165 cm di altezza. Una sorta di Grande Slam completato da tenniste piuttosto piccole se lo confrontiamo alla tendenza del recente passato, con la maggior parte delle campionesse nei Major piuttosto alte e dotate di un servizio importante come Naomi Osaka, Garbine Muguruza, Petra Kvitova e ovviamente Serena Williams.

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