Un totem e un’icona si sono dati appuntamento in campagna. Ed è bastato aggiungere una foto su Instagram (i figli sono lì per questo) perché l’incontro diventasse virale, e appunto totemico, e iconico.
Il totem è Roberto Baggio, immenso campione evaporato da vent’anni in una magnifica lontananza tutta sua. L’icona è la Panda, il “pandino”. La figlia si chiama Valentina, e qualche giorno fa ha fotografato il Divin Codino intento a caricare il non meno Divin Pandino. Ed è così che la coppia ha fatto il giro del web. Baggio e Panda come Baggio e Schillaci, ma invece di una notte magica qui c’è un pomeriggio, o forse un mattino, di quieta normalità.
Come sempre, la vera forza di un’immagine dipende da quello che suggerisce oltre quello che mostra. Nel caso di Baggio, la sua utilitaria verde militare ci racconta una scena che nella campagna veneta è quotidiana, ma che nel mondo della moderna pop art calcistica ci sembra quasi surreale. Come se vedessimo Cristiano Ronaldo che paga la bolletta della luce alla Posta, oppure Messi con le borse della spesa. La normalità del campione ultraterreno (Roberto Baggio è stato questo, per i pochi sfortunati che non l’abbiano mai conosciuto) declinata nel modo opposto a quanto siamo abituati vedere, anzi non vedere, delle stelle dello sport, cioè come se il dio fosse uno di noi. Perché in questa immagine lo è davvero.
E poi c’è la rarità dello scatto, dal momento che Baggio è diventato una specie di Salinger, di Mina, di Lucio Battisti, non si mostra in giro, non litiga nei talkshow, non fa finta di avere qualcosa da dire, non cerca ospitate a pagamento, non fa marchette, non è un volto della pubblicità, non è diventato un “talent” televisivo, non fa la seconda voce nelle telecronache, non si è improvvisato allenatore, manager, opinionista. Ha collaborato per un po’ con la Federcalcio, poi ha deciso che non fosse cosa. Ed è semplicemente rientrato nella vita, o forse non ne era mai uscito.
Baggio il buddista, Baggio nella sua enclave di Caldogno, provincia di Vicenza, Baggio cacciatore e Baggio un po’ contadino. Una leggenda che vuole farsi i fatti propri senza imporli a nessuno. Uno che non vive di quella luce riflessa, talvolta così triste, di chi è stato tutto ed è costretto a portare i fiori davanti alla sua lapide, come se un ex fuoriclasse non potesse essere altro che una specie di morto in vita, sacerdote di un rito malinconico: l’elevazione agli altari di sé. E invece no, c’è un’altra risposta possibile. Non essere stato, ma essere. E caricare nel bagagliaio dell’uva, un paio di stivali, delle patate, una bici, non l’opaco ricordo del passato.
Fonte www.repubblica.it