Gli ultimi due minuti sono stati la sintesi degli altri trentotto: segnano Kentavious Caldwell-Pope e Jimmy Butler, Anthony Davis realizza il tiro da tre del 100-92, poi stoppa Butler, LeBron James chiude il conto e Tyler Herro segna da nove metri. Cinque nomi per l’ennesima partita spettacolare che potrebbe aver segnato il destino della serie finale: i Los Angeles Lakers battono i Miami Heat 102-96, vincono gara4 e si portano sul 3-1, a una sola vittoria dal titolo. Miami si arrende al termine dell’ennesima partita piena di cuore e di coraggio, ma rispetto a due giorni prima costretta quasi sempre a inseguire. Succede quando da una parte c’è il giocatore più forte del mondo, LeBron, autore di 28 punti, 12 rimbalzi e 8 assist. Venti punti sono arrivati nel terzo e nell’ultimo quarto, quando dentro la bolla di Orlando non si respirava quasi più. Ma si sa che lui vive in un universo diverso dal resto del mondo. L’uomo non voleva perdere la seconda di fila in due giorni. Le statistiche erano dalla sua parte.
I Lakers erano sempre riusciti a reagire dopo una sconfitta, nella stagione pre-Covid, a parte due volte. La prima a dicembre, quando persero di fila contro i Milwaukee Bucks e i Clippers, scatenando previsioni apocalittiche. La seconda a gennaio, a cavallo della morte di Kobe Bryant. Ma per il resto, dopo una sconfitta era arrivata sempre una vittoria. La regola è stata rispettata, al termine di una partita dura, intensa, incerta. Alla quarta sfida in sette giorni, ormai Los Angeles e Miami si conoscono. La novità era il ritorno di Bam Adebayo, reduce dall’infortunio alla spalla rimediato in gara 1. La domanda era come avrebbe avuto l’impatto sui giochi sotto canestro degli Heat. Il duello chiave era con Davis. O almeno: quando Miami era in difesa, Adebayo è rimasto incollato su di lui. In attacco, sul centro di Miami andava LeBron. Per il resto, entrambe hanno fatto largo uso della zona, ormai vera costante europea dei playoff.
Anthony Davis
Alla fine del secondo quarto è maturato il risultato più basso di una ventina di punti rispetto alle prime due. Se LeBron era parso meno padrone, il merito era stato anche di Miami, che ha continuamente raddoppiato su di lui, appena riceveva palla spalle a canestro, con l’aiuto dell’uomo sul lato debole. Stessa strategia che i Lakers avevano adottato con Denver per limitare Nikola Jokic. Le 53 presenze in una finale di LeBron, quinto giocatore di sempre, a due partite da Jerry West e a tre da Kareem Abdul-Jabbar, non si sono fatte sentire nei primi due quarti, chiusi da Los Angeles avanti 49-47, ma dopo l’intervallo è stato lui a tenere a galla i Lakers con due canestri da tre segnati da quasi nove metri, una conclusione da due e un libero che ha ridato a Los Angeles il mini allungo a +6 (63-57 a 6′ dalla fine del quarto).
Davis si era visto poco, tolto quando aveva perso la sua “scarpetta” sul parquet, come Cenerentola. Ma nel finale di terzo quarto Davis ha deciso che doveva esserci anche lui. Ha lasciato il segno con cinque punti di fila che hanno portato i Lakers a chiudere a +5. Dei 26 punti segnali dai Lakers, 18 erano arrivati da LeBron e Davis, che formano una squadra a parte. Quando il pallone passava da loro pensavi alla forza dei Lakers, quando arrivava a Morris, Green e Kuzma, ti chiedevi se avrebbero dimostrato di essere degni di giocare con quei due. Ieri non è stata la serata per togliere i dubbi. Ma Caldwell-Pope non era tra gli ignavi: per lui 15 punti, dei quali 5 nel momento caldo, dei quali tre dall’angolo, e come puoi sbagliarti. Davis ha chiuso con 22. Dall’altra parte Butler, anche lui con 22, Adebayo 15 e Robinson 17. Herro, 20 anni, più giovane giocatore della storia Nba a partire nel quintetto titolare in una finale, ha giocato alla solita maniera, da veterano, colpendo da tutte le parti. Alla fine ha messo a segno 21 punti, diciannovesima gara di fila in doppia cifra, ma stavolta niente facce strane o incisivi. Quelli li aveva mostrati qualcun altro, arrivato a un passo dal vincere il quarto anello con tre squadre diverse. Venerdì c’è gara 5. Il modo con cui LeBron ha urlato al suono della sirena, fa capire che comincia a sentire vicino il traguardo.
Fonte www.repubblica.it