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Ciclismo, Tour: le smorfie di Pinot, corridore da romanzo

Loudenvielle – Oggi inizia un’altra carriera per Thibaut Pinot. La prima, quella che si è interrotta bruscamente ieri sul Port de Balès, gli ha riservato una tale dose di sfortune da renderlo un personaggio ormai da romanzo, al di là del bene e del male che è comunque riuscito a compiere in bicicletta: il non moltissimo che ha vinto, tra cui tappe a Giro, Tour e Vuelta e un Lombardia, e il moltissimo che avrebbe potuto vincere, con le qualità che ha. Ma quelle, da sole, non bastano. Men che meno in uno sport spietato come questo.
Stavolta è stata la caduta di Nizza a bloccarlo. Ha un ematoma sulla schiena e non riesce a spingere in salita. Aveva provato a mascherare il tutto, poi sul Balès, nemmeno in cima e nemmeno dopo un particolare forcing di questo o quell’altro, si è lasciato andare. Si è trovato la squadra attorno ed è scivolato via via fino ai 19 minuti incassati, e il tempo l’ha passato chiacchierando con i compagni e facendo smorfie di dolore. Le sue solite. Quelle che lo renderanno un’icona. Tibo indietro, Tibo e un altro Tour che se ne va. L’ha finito solo due volte. Questo non è finito, ma è come se lo fosse. Quello buono sembrava lo scorso, dopo la vittoria sul Tourmalet, con Madiot in estasi mistica e la Francia pronta ad aprire Champagne in cantina dal 1985. Niente da fare. Una botta al manubrio col ginocchio in una tappa di pianura. Altre lacrime e altre smorfie, e i compagni intorno. E così nel 2017, nel 2016 e nel 2013. E così al Giro 2018, quando prese la polmonite tra Bardonecchia e Cervinia. Lo portarono in ospedale ad Aosta. L’Italia poteva costargli la pelle, l’Italia che ama: ha un tatuaggio in italiano, “Solo la vittoria è bella”, era un ragazzo quando vinse il Giro della Valle d’Aosta e la Settimana Bergamasca.

Aveva 24 anni quando andò sul podio al Tour dietro Nibali e Péraud. Ne aveva 27 quando andò vicino persino a vincere il Giro. Ha sempre trovato in Bardet un avversario e mai un amico, coetanei e diversissimi, lui uomo di campagna mite e timido, l’altro ragazzo di studi e ottime letture, grande scalatore e ottimo discesista. Pinot pessimo discesista invece, tanto da finire dallo psicologo per capirci qualcosa. Stanno scolorendo velocemente le carriere dei due, e nessuno, tra Romain e Thibaut, ha ancora vinto il Tour. Fosse facile.
Pinot ha sempre corso per Madiot nella Fdj. In squadra, spiegava il compagno Bonnet, “l’abbiamo forzato a diventare un leader, non è nella sua natura e non è fatto forse per comandare. Ma è un corridore fenomenale”. Potrebbe esserlo, se la sfortuna non si divertisse tanto. Ocaña, che pure un Tour lo vinse, poteva rivaleggiare con lui su questo terreno: ieri, tra l’altro, si passava dal Col de Mentè, dove una targa racconta i fatti del 1971, la caduta di Luis, Zoetemelk che lo travolge, Merckx che il giorno dopo non metterà la maglia gialla per rispetto. Presagi.

La nuova carriera vagheggiata da Pinot è quella di cacciatore di classiche, le sue sarebbero Liegi e Lombardia. Magari ora l’ematoma passerà e intanto vincerà una bella tappa sulle Alpi. Deve salvarsi e arrivare a Melisey, sull’uscio di casa. L’omaggio del Tour, alla penultima tappa, rischia di essere la sua condanna. Ricorda per certi versi la storia di Indurain nel 96, lui che aveva vinto tutti i Tour dal 91 al 95, e proprio il Tour gli fa l’omaggio di passare da casa sua, a Pamplona. Ma Miguel non è lui a quel Tour e arriva lontano dai migliori, umiliato nella sua terra. Chissà se Tibo avrà la forza di sopportarlo. Non doveva andare così. Ma forse è una fortuna che sia andata così. Meglio bruciare velocemente (ossia prendere 19 minuti in una mandata sola) che spegnersi lentamente. Ad altri il compito di vincere il Tour. A lui quello, assai più difficile e affascinante, di essere sempre e per sempre Thibaut Pinot.

Fonte www.repubblica.it

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