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De Luna: ”Per la Juventus sogno Ronaldo e Dybala uniti nella lotta”

Professor Giovanni De Luna, storico, noto tifoso juventino, dove era il 22 maggio 1996? E cosa ricorda di quella notte in cui la squadra di Lippi vinse la Coppa dei Campioni contro l’Ajax?
“Non ho visto i rigori. Ero a casa di una mia amica e mi sono nascosto tra i cespugli del suo giardino tappandomi le orecchie. Ho sentito l’eco soffocato delle urla di gioia dei miei amici e ho capito che avevamo vinto. Questo è il mio tifo per la Juventus: una passione intrecciata con una scaramanzia che si nutre di “assenze”. Come Boniperti andava via dopo il primo tempo, così io sul divano di casa non reggo la tensione e quando il risultato della partita è in bilico cambio canale…faccio anche altro: tolgo la voce del telecronista di Sky, per sentire quello della Juve; chiudo il gatto in bagno; insomma cerco di influire sul risultato abbandonandomi a riti totalmente irrazionali. La scaramanzia è una sorta di delirio di onnipotenza che ti porta a credere di essere tu, con il tuo comportamento, a determinare il corso degli eventi…..Dopo di che, tornando a quella notte, ricordo la gioia totale di aver vinto un trofeo che, per noi juventini, è come se fosse gravato da una sorta di maledizione…”.

Come resterà di questo anno con Sarri?

“Un desiderio inappagato. C’erano tante attese, all’inizio. Vincere giocando “alla Sarri ” sarebbe stata una grande soddisfazione. Ci si ricordava del suo Napoli e delle insidie che aveva rappresentalo per la Juve. C’era anche qualche perplessità, di tipo tecnico e di tipo personale, ma tutto sommato si nutriva la speranza che alla solita galoppata trionfale si unisse anche la spettacolarità del gioco, senza dover sperare soltanto nelle verticalizzazioni di Bonucci o nei cross sbilenchi di Cuadrado, come capitava con l’ultima Juve di Allegri”.

Dice Sacchi che la Juventus preferisce gli allenatori pragmatici ai visionari, perché quello è il suo Dna.  E quando si cerca una svolta – da Maifredi a Sarri – non riesce: sono matrimoni contro natura? Meglio i risultatisti dei giochisti?
“Che esista un Dna della Juve io ne sono convinto così come sono convinto che questo Dna sia fatto di fatica e di sudore oltre che di estro e fantasia. Non avrebbe potuto esserci Platini senza Bonini, Causio e Bettega senza Tardelli e Furino, Sivori senza Emoli, e così via. Il precedente di Maifredi è emblematico. Alla solida Juve di Zoff, povera tecnicamente ma messa in campo con grande sagacia, si preferirono i fuochi di artificio promessi da Maifredi …e fu un disastro completo. Mi ricordo che l’Avvocato lo paragonava a Gianni De Michelis, il rutilante ministro egli esteri di allora, socialista, quasi a sottolinearne una dimensione esistenziale tronfia e gaudente, che con la tradizione dello stile Juve c’entrava veramente poco”.

Coman che decide la finale del Bayern è un rimpianto?
“No, nella Juve era chiuso da grandi giocatori e poi permise di realizzare una plus valenza importante. I veri rimpianti sono Pogba e Vidal…. A centrocampo con Marchisio e Pirlo costruirono un blocco inimitabile, il reparto più forte che io abbia mai visto giocare”.

Chi avrebbe voluto in panchina?
“Conte è stato grandissimo, nonostante il carattere e il suo approdo all’Inter… ma a me è piaciuto tantissimo Carlo Ancelotti. Inviso alla parte più becera della curva bianconera, oltre a essere un gentiluomo mai sopra le righe arrivò due volte secondo con una squadra che non era fortissima e con in porta il Van der Sar di allora, che era piuttosto scarso, senza contare l’arbitraggio di Collina e il diluvio di Perugia. Sì, Ancelotti ci stava bene, a fianco al Trap, a Zoff, a Lippi e, da ultimo, ad Allegri. Tra i nuovi apprezzo moltissimo De Zerbi”.

Cosa ha pensato quando è stato scelto Pirlo? Crede nel grande carisma, come fu per Mancini, o ha paura che finisca come con Ferrara?
C’è un precedente illustre che ci conforta in questo azzardo, legato al ricordo di quando Boniperti scelse Armando Picchi, grandissimo campione ma senza nessuna esperienza come allenatore. Picchi fu bravissimo e fu stroncato solo da una sorte crudele. Però Boniperti, insieme a Picchi, fece arrivare – sempre dall’Inter – anche un dirigente esperto come Italo Allodi. Il fatto è che qualsiasi allenatore ha bisogno di una squadra e di avere intorno gente capace di costruirla. L’incognita Pirlo dipende proprio dal contesto della società. Se tutto funziona, funzionerà anche il Maestro e non ci sarà bisogno di scomodare il precedente negativo di Ciro Ferrara”.

 Cosa si aspetta da lui e da questa stagione?
“Quello che mi aspetto, lo aspetto dalla Juve più che da Pirlo. Vorrei: una squadra che invece di camminare si metta a correre; vedere Dybala e Cr7 uniti nella lotta; un gioco verticale senza le estenuanti serie di passaggi in orizzontale; partite ricche di azioni nell’area avversaria. Ma questi sono desideri che condivido con i tifosi di qualsiasi altra squadra”.

 Nove scudetti consecutivi non finiscono per assomigliare ai governi della Dc? Potere senza piacere.
“No, e qui conta molto il mio mestiere. Sono perfettamente consapevole della “storicità” di questa  serie. E solo il tempo sarà in grado di restituircene la grandezza. Per i prossimi decenni si parlerà di questo record come di una favola, un po’ come è successo per il quinquennio degli scudetti vinti negli anni Trenta c’è stata una leggenda che si è nutrita di quelle vittorie, ce ne sarà un’altra, ancora più pervasiva, che si alimenterà di questi nove trionfi. Se poi fossero dieci….Nessun appagamento, quindi, ma la ricerca costante di quello che sembra impossibile e che la Juve rende possibile”.

Il giocatore più juventino di oggi?
“Nessun dubbio: Giorgio Chiellini. Potenza e classe, come nel DNA a cui prima accennavo. Non è solo per le sue lauree, per i suoi orientamenti ideologici. Chiellini è l’esempio di come deve essere un calciatore moderno: duro e implacabile in campo, tenero e disponibile fuori. Sarà curioso vederlo convivere – oggi si ventila questa ipotesi- con il suo “azzannatore”, quel Suarez che sembra proprio il suo opposto”.

Ronaldo ti intimidisce, è un fanatico del gol, l’erede di Di Stefano. L’ha detto Jorge  Valdano. Che cosa ha sperato quando è arrivato due anni fa e cosa prova per lui adesso?
“Onestamente, più che all’acquisto di un giocatore di altissima classe ho pensato alla fusione di due marchi aziendali. CR7 è infatti un’azienda con un fatturato smisurato, oltre a essere il campione che tutti conosciamo. Proprio per questo non mi ha mai scaldato molto il cuore. Gli riconosco un talento immenso, ma non la juventinità. Ronaldo è il Portogallo, è stato il Real Madrid, anche il Manchester United, ma non sarà mai la Juve come in passato sono stati Boniperti, Bettega, Platini, Del Piero”.

Meglio Ronaldo o Sivori?
 “Sivori mi ha commosso e emozionato, a lui devo il mio tifo juventino. Nella squadra che contava sulla potenza di Charles e sul rigore geometrico di Boniperti, in lui veniva racchiusa l’anima geniale e trasgressiva della Juve. Quando entrò in collisione con Heriberto Herrera ne soffrii come della perdita di una persona cara. Ecco Heriberto – il ginnasiarca come lo chiamava Brera – sarebbe andato d’accordo con CR7: muscoli, fatica, allenamenti sfibranti. No, molto meglio la sregolatezza di Sivori”.

Del Piero o Baggio?
“Del Piero per la juventinità, ma Baggio – con Maradona – per me è stato il Mozart del calcio. Talento purissimo, ma un carattere non adatto alle durezze di uno sport che negli anni ha puntato sempre di più sulla fisicità. Le invenzioni di Baggio sul campo appartengono al repertorio dei grandi fuoriclasse; ma, nonostante questo, il calcio non era il suo mondo”.

Perché tifa Juve, come è cominciato l’amore e come si è rinnovato negli anni? Conserva qualche maglia o foto ricordo? La gioia più grande?
“Ho cominciato da bambino in un ambiente nettamente ostile. Tutta la mia famiglia e i miei compagni di scuola erano per il Napoli. Erano i tempi del comandante Lauro e delle follie milionarie dei napoletani per il calcio. Avevo 10 anni e scelsi la Juventus perché – sentendomi in minoranza – volevo una squadra vincente. E quella Juventus – con Muccineli, Praest, John Hansen, Boniperti – vinceva. Poi, quando a 18 anni sono venuto a studiare a Torino, quel tifo è diventato concreto, diretto. Non facile, però. I miei compagni erano quasi tutti per il Toro, che allora godeva di un tifo decisamente schierato a sinistra. Ho tenuto duro finché sono arrivati a Torino gli operai del Sud, allora, con “l’operaio massa”, il tifo juventino è stato finalmente sdoganato, anche a sinistra e molti dei miei tormenti si sono placati. La gioia più grande? Nel 1997 lavoravo con altri miei colleghi, tutti juventini, alla mostra che avrebbe dovuto celebrare il centenario della squadra bianconera. Durante una riunione si materializzò Omar Sivori. Emozione generale, ma io riuscii a balbettare una domanda: “Sivori, chi è stato il più grande, Pelé o Maradona?” “Diego, certamente”. E io “Ma Sivori, lei, lei è stato il più grande di tutti!”. Avevo sognato fin da ragazzo la possibilità di dirglielo guardandolo negli occhi”.

“Il partito comunista juventino”, “Pirlismo, gioia e predestinazione”, “Juventini critici”, “Juventini esistenzialisti”: sono alcuni dei movimenti social bianco neri. A quale si sente più vicino?
“Francamente a nessuno. Mi tengo lontano dai social soprattutto per ragioni anagrafiche. Mi considero un uomo del Novecento sia dal punto di vista culturale che esistenziale. E in genere non condivido niente del tifo ultra. Quando sento la curva bianconera scandire “Noi non siamo napoletani!” mi sento ribollire il sangue. Ma come? Siete tutti figli di immigrati, avete il Sud nel Dna, e urlate uno slogan così demenziale. Senza contare l’infiltrazione delle criminalità organizzata e, soprattutto, la deriva violenta e fascista di molte tifoserie”.

Pare che Togliatti chiedesse perfidamente a Secchia: cosa ha fatto ieri la Juve? …E tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus? Un modo per dire che senza la Juve e il calcio non si potevano capire le masse. Come mai la Juventus è la squadra più popolare?
“Questo rientra nelle mie competenze professionali. Tutto è cominciato con i cinque scudetti consecutivi negli anni Trenta. Quelle vittorie coincisero con l’avvento delle comunicazioni di massa (i giornali e, soprattutto, la radio) mentre il fascismo si sforzava di “fare gli italiani”, a modo suo. Fu allora che il nome della Juventus rimbalzò in ogni angolo del paese e la squadra divenne la “fidanzata di Italia”. Attraverso un meccanismo anche questo storicamente riconoscibile: pensi alla Romagna, alla Brianza, alla Garfagnana, al Cuneese, tutte contrade bianconere, tutte orientate al tifo per la Juve contro il capoluogo (Bologna, Firenze, Milano, Torino, etc). È la vecchia Italia dei Comuni ad affiorare tra le pieghe del tifo juventino”.

 Fonte www.repubblica.it

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