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Djokovic, cuore di campione

Le mani al petto, il cuore metaforicamente lasciato in campo per i tifosi. La condivisione come una storia del farsi amare, sullo sfondo del campo verde acqua di Bercy. E’ ancora suo il nome sul tronco dell’albero di Fanti, il trofeo disegnato dall’omonimo scultore italiano che dal 1991 si assegna al vincitore del torneo, con l’unica eccezione del periodo 2007-2011.

Novak Djokovic si fa amare a Parigi-Bercy più di quanto gli sia riuscito a Londra. Vince il quinto titolo nell’ultimo Masters 1000 della stagione. Trionfa per la 34ma volta in questa categoria di tornei su 50 finali. Batte 63 64 Denis Shapovalov, troppo teso e rigido in risposta e nelle soluzioni a rete per far partita contro il serbo, destinato comunque a scivolare al numero 2 del ranking la prossima settimana.

E’ durata 65 minuti la speranza di Shapovalov di diventare il settantesimo vincitore diverso in un Masters 1000 su 270 eventi. Shapovalov, quarto finalista di fila capace di spingersi a giocarsi il titolo a Parigi Bercy, ha vinto diciotto punti in meno rispetto a Djokovic. Ha subito un break per set, ha compreso e mostrato quel che ancora gli manca per essere competitivo contro i top player. Debole con la seconda di servizio, insufficiente in risposta come dimostrano i soli dieci punti vinti, Shapovalov non ha mai dato la sensazione di poter diventare il primo campione canadese in un Masters 1000 dopo le tre finali perse da Milos Raonic: a Montreal 2013 contro Rafa Nadal, a Bercy 2014 e a Indian Wells 2016 contro Djokovic.

La 14ma sconfitta in 17 partite contro un top 10 rappresenta un passo indietro rispetto a quanto visto in settimana, ma certo restano i progressi rispetto anche solo all’inizio dell’anno. Shapovalov rimane un giocatore che si affida all’ispirazione con una personale visione del bello, ma non è solo un produttore discontinuo di colpi da esibizione. E’ più ordinato, più compiuto, anche più efficiente negli spostamenti e nella copertura del campo da quando ha aggiunto Mikhail Youzhny al suo team. 

Djokovic conquista così il 77mo titolo in carriera, che non gli basta a restare numero 1 del mondo. Dopo 275 settimane, non consecutive, lascia lo scettro a Rafa Nadal che però avrà solo 680 punti da amministrare durante le ATP Finals che ne mette in palio fino a 1500 per chi riuscisse a vincere il titolo senza sconfitte nel girone.

“Essere qui è una grande soddisfazione, anche perché non sono stato benissimo questa settimana” spiegava prima della finale Novak Djokovic. Salute e sorrisi sono comunque tornati dopo la cerimonia di premiazione, cui partecipa anche Marat Safin. Djokovic solleva l’albero di Fanti, un trofeo ispirato alla formazione del tabellone di un torneo di tennis con i rami che via via si stringono fino ad avvicinarsi al tronco, che reca inciso il nome del vincitore. Una coppa alzata per la prima volta da Guy Forget nel 1991. L’ha alzata quattro volte, però, Il primo titolo infatti l’ha festeggiato nel 2009. E allora, nel periodo 2007-2011, era stato sostituito da una barra orizzontale in bronzo, “La linea del tempo” del francese Jean-Pierre Rives.

Shapovalov, che aveva spiegato di aver molto lavorato sulla risposta bloccata di rovescio, appare molto deluso nella cerimonia di premiazione. Avrà comunque tempo di costruirsi come giocatore in grado di competere con i top player per i grandi tornei.

 

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