PRAGA – Antonin Panenka è in gravi condizioni, ricoverato in terapia intensiva a Praga, contagiato dal coronavirus. La notizia tiene in apprensione soprattutto chi ha amato un certo tipo di calcio. Panenka, che ora ha 71 anni, è stato uno degli ultimi grandi interpreti del calcio danubiano: più raffinatezza che forza, più valzer che rock tosto. Germania Ovest e Olanda, due squadre grandissime, nella finale del mondiale del 1974 avevano dato una svolta dalla quale non si sarebbe più tornati indietro. Panenka però non si arrese allo strapotere dell’atletismo e due anni dopo creò un’enclave tutta sua nella finale degli Europei, programmati in Jugoslavia e ristretti a sole 4 squadre.
La Cecoslovacchia, che in semifinale si era sbarazzata dell’Olanda di Cruyff, affrontò nell’ultimo atto i tedeschi dell’ovest. Sembrava potersi sbarazzare anche di loro con un veloce uno-due nei minuti iniziali, ma gli allora campioni del mondo li agguantarono proprio all’ultimo respiro con Holzenbain. Nulla di fatto ai supplementari, si andò ai rigori. Tutti infallibili fino al momento in cui Hoeness calciò un pallone che ”ancora lo stanno cercando nelle vie di Belgrado” (cit. Kaiser Beckenbauer). C’era l’ultimo rigore, e toccò a quel centrocampista dai baffoni pronunciati e dal taglio di capelli non proprio alla Cristiano Ronaldo. Sepp Maier, il leggendario portiere tedesco non sapeva. Non c’era internet, non c’erano i social, c’era la cortina di ferro. E lui non sapeva che Panenka con i Bohemians di Praga aveva provato qualche volta quella strana soluzione dal dischetto, quel pallone appena accarezzato che scendeva al centro della porta mentre il portiere era lanciato nello spazio senza possibilità di ritorno sulla terra. Per intenderci, quello che tanti anni dopo divenne ‘er cucchiaio’ a fima Francesco Totti.
Panenka lo fece anche con Maier, e la Cecoslovacchia divenne campione d’Europa. “Se avessi sbagliato mi avrebbero mandato a lavorare in fabbrica per trent’anni”. Ma non lo sbagliò, e le autorità cecoslovacche gli concessero, quando ormai aveva 33 anni (32 era il limite minimo per espatriare) l’avventura all’estero. Andò al Rapid Vienna, ed ormai alla soglia della pensione nel calcio che conta (anche se si divertì a giocare fino a 45 anni) si regalò il lusso di una finale europea, quella della Coppa delle Coppe che gli austriaci perserò contro l’Everton. Ma per tutti il suo mito resta legato a quello sgarbo a Sepp Maier che chissà, ci fossero stati i social, magari quel pallone sarebbe rimasto fermo al centro della porta ad aspettarlo.
Fonte www.repubblica.it