E’ mancato oggi. Questo maledetto virus ha portato via anche lui, Viviano. Parlo di Viviano Vespignani, di anni 85, come direbbe Enzo Jannacci, uno di Imola con la passione infinita per il tennis. Uno che di questo sport non voleva andasse persa, dimenticata, non dico una palla, ma nemmeno una goccia di sudore.
La prima volta che lo avevo visto vicino a un campo erano gli anni Ottanta del secolo scorso: Tennis Club Milano, Trofeo Bonfiglio. Si aggirava con discrezione, l’aspetto del ragioniere più che del talent scout, per i vialetti armato di una macchina fotografica come un turista giapponese a Venezia. Scattava con il piglio di chi fa sul serio ma l’attrezzatura non era quella del professionista del teleobiettivo.
Ero uno studente universitario e mi parve strano poi scoprire che quel signore con gli occhiali era il direttore di Match-Ball, il quindicinale che correvo a comprare in edicola, fresco di stampa, per vedere se insieme alle gesta di Borg e McEnroe c’era anche il mio nome di “ennecì” nelle pagine regionali.
Pensavo che i direttori stessero dietro le loro autorevoli scrivanie e le foto le facessero scattare a quelli con le Nikon e il borsone a tracolla, le facce arrossate dal sole preso perché ti tocca il match di mezzogiorno.
Viviano faceva anche le foto. Nei tornei dei ragazzi, non in quelli con i dollaroni. Era uno cui piacevano le notizie di prima mano e lo sport nella sua accezione più antica: quello praticato dai giovani per crescere. E poi, se avevano la stoffa, per eccellere. Voleva essere a bordo campo a vederli di persona questi ragazzi, capire come colpivano la palla e come erano dentro. Gli piaceva scoprirli. E registrare ogni singolo risultato. Metterlo in archivio. Per poter poi ricostruire una storia, un record. O anche solo verificare un progresso con i numeri. I fatti.
L’ultima volta che l’ho sentito si avvicinavano le feste dello scorso Natale. Non era la telefonata che avrei voluto sentire: mi annunciava che con la fine dell’anno avrebbe interrotto la sua collaborazione con SuperTennis. Era stanco. Non se la sentiva più. Una pausa se l’era già presa tre anni fa, quando aveva dovuto subire una pesante operazione per combattere un male molto aggressivo. Poi però, con grande fatica, era rientrato: altro che Federer dopo l’infortunio al ginocchio.
Era tornato ad aggiornare gli appassionati sulle vicende del tennis giovanile nazionale e internazionale con le sue cronache meticolose, dagli scudetti under alle Coppe europee estive e invernali. Fino agli Slam Under 18, all’Orange Bowl: era il suo mondo. Quello dei fenomeni da piccoli. E di quelli che fenomeni non sarebbero mai diventati ma comunque ci avevano provato. Nel suo sterminato e sempre aggiornato archivio un posto l’avrebbero trovato tutti.
E se oggi siamo in grado di sapere chi è stato il primo italiano a giocare gli Us Open, o se vogliamo sapere chi vinse i campionati italiani under 18 nel 1964 (Marco Gilardelli) o gli under 16 nel 1978 (Luca Bottazzi), o gli under 14 nel 1984 (Diego Nargiso) è perché lui ha scrupolosamente, religiosamente mi verrebbe da dire, catalogato e conservato tutto.
Un lavoro “certosino” (mai come questa volta è adeguato usare questo termine) che ha continuato a fare anche quando Match-Ball ha chiuso, a metà degli Anni Novanta. E poi sempre, anno dopo anno, anche quando non ne aveva ritorni economici e nemmeno applicazioni pratiche al di fuori di questo suo senso, misto di piacere e dovere, per la documentazione delle vicende del tennis italiano.
Ho avuto la fortuna di godere della sua amicizia negli ultimi quindici anni. Non sono mai stato all’altezza del suo rigore nella registrazione dei fatti del tennis giovanile ma deve aver colto in me il germe di quella passione. Un briciolo di quella percezione empatica, in lui chiara ogni giorno, che il reperto di una partita vinta, con il risultato scritto nero su bianco, anche una sola partita, può dar senso alla storia di un tennista. Tutti quelli che hanno da parte il ritaglio di giornale di “”quella volta” in cui sono arrivati nei quarti di finale del torneo per non classificati di Zoagli, sanno di che cosa sto parlando.
Tanta gente esiste tennisticamente solo perché è esistito Viviano Vespignani. Tanta gente esisterà in eterno grazie al suo archivio. E mi piace pensare che anche lui ci sarà sempre per noi, gente con la racchetta, perché ci ha voluto bene, a tutti, uno per uno, anche a quelli che non ha conosciuto di persona.
Ciao Viviano. Grazie. Ci mancherai tanto. Davvero tanto.