ROMA – Forse nessun presidente o direttore sportivo lo ammetterà mai apertamente, ma il lungo lockdown e la corsa matta e disperatissima per chiudere la Serie A in tempi record ha inciso più sulle scelte da prendere in vista della prossima stagione che sull’andamento dell’atipico finale di campionato. Con soli 48 giorni tra la fine del torneo 2019-20 e il nuovo avvio del 19 settembre, non tutte le società hanno scelto di rischiare. C’è chi lo ha fatto, accantonando i “traghettatori” scelti a stagione in corso per puntare su un nuovo progetto tecnico: è il caso del Torino, la cui storia con Moreno Longo partiva già da febbraio con la data di scadenza, e del Cagliari, che non ha voluto scommettere su Walter Zenga legandosi mani e piedi a Eusebio Di Francesco, a caccia di rilancio tanto quanto il nuovo granata Marco Giampaolo. Ma sono due mosche bianche nell’esercito dei club che nei mesi scorsi avevano optato per un cambio in corsa. Saranno ben cinque i tecnici confermati, e Ranieri potrebbe aggiungersi presto all’elenco, tra quelli arrivati nel corso dell’anno, tutti con motivazioni diverse.
Gattuso, la scelta di De Laurentiis
La conferma di Gennaro Gattuso non è praticamente mai stata in dubbio. Il rapporto tra Ancelotti e il Napoli era andato logorandosi in tempi brevissimi e il patron De Laurentiis ha trovato in Gattuso un porto sicuro. Il mercato di gennaio lo aveva anticipato: la società azzurra ha fatto di tutto per assecondare le idee del nuovo allenatore, consegnandogli un perno granitico per la mediana (Demme) e un profilo diverso dal tedesco (Lobotka) da alternare alla bisogna. Il tecnico ha risposto con la vittoria in Coppa Italia, la capacità di recuperare nel corso della stagione alcuni giocatori che parevano già destinati altrove e, soprattutto, di riconquistare un gruppo sfaldatosi nella precedente esperienza. Resta da mettere la ciliegina, anche se per un grande cammino in Champions il Napoli non dovrà limitarsi a rifinire la torta, ma a prepararne un’altra ancora più gustosa. Barcellona a parte, il feeling tra De Laurentiis e Gattuso non sembra in discussione.
Pioli, il maestro della ripresa
Per anni è stato identificato come un normalizzatore, un aggiustatore. Non c’è nulla di più sbagliato. È forse il modo di porsi, finanche l’aspetto fisico, a dipingere Stefano Pioli come ciò che non è. Le idee di calcio del tecnico del Milan sono di impatto, mai conservative. Ama un calcio aggressivo, verticale, costantemente teso verso la porta avversaria, con o senza il pallone tra i piedi. La versione migliore del nuovo Milan l’abbiamo vista quando i ritmi degli altri si sono abbassati, non c’è dubbio, ma anche quando il tecnico ha sgravato Calhanoglu di compiti assillanti, e il turco è tornato a volare come a Leverkusen. Con un pizzico di cattiveria, si potrebbe anche dire che ha aiutato l’addio di Suso, un costante catalizzatore di palloni e di attenzioni. È bastato mettere al suo posto un soldatino della pedata come Saelemaekers, perfettamente calato in un sistema che aveva in Ibrahimovic il regista offensivo e in Rebic il guastatore, e il Milan ha ripreso a volare. La conferma di Pioli è quella che ha fatto più rumore perché i rossoneri erano pronti alla rivoluzione Rangnick. Forse hanno inciso i grandi risultati ottenuti dopo il lockdown, ma diventa difficile non pensare anche a una mera questione di tempistiche: affidarsi al tedesco e chiedergli miracoli nei tempi brevissimi imposti da questa strana estate calcistica avrebbe rischiato di fare male a entrambi.
Ranieri, la certezza
Ha preso la Sampdoria dopo sette giornate e 3 punti messi in cantiere, l’ha portata a una salvezza centrata con diverse giornate d’anticipo. Claudio Ranieri ce l’ha fatta ancora una volta, dando un senso tattico e una missione comune a una squadra uscita spaurita dal tentativo di rivoluzione tattica di Di Francesco, partita con ben altri obiettivi in testa. In breve tempo, tifosi e giocatori si sono compattati attorno alla figura del tecnico romano, ma quel rinnovo di contratto che sembrava scontato fino a pochi giorni fa ora è tornato ad animare i fantasmi della tifoseria blucerchiata. La firma non è ancora arrivata, le nubi si addensano. Il nome di Ranieri, lui sì, a differenza di Pioli, il vero aggiustatore del calcio italiano, era stato accostato anche alle panchine di Cagliari e Fiorentina, che hanno poi preso altre strade. La panchina doriana potrebbe riservare ancora delle sorprese.
Gotti, la costruzione di un amore
Il suo doveva essere un sì a tempo, la soluzione tampone dopo l’esonero di Tudor in attesa di un nuovo allenatore. Passo dopo passo, Luca Gotti ha rimesso tutte le cose a posto. Passavano le domeniche e continuavano le smentite del tecnico stesso, sempre fermo nel dichiararsi come un traghettatore che aspettava il nuovo timoniere. Del resto, nel comunicato iniziale dell’Udinese era stata scritta la parola “temporaneamente”: nessuno sembrava credere in una lunga permanenza bianconera dell’ex assistente di Sarri al Chelsea. La squadra, invece, ha dato risposte alle idee di Gotti. Il tecnico non ha avuto paura di affidarsi alla grandissima fisicità dei suoi: ha portato Mandragora – fino all’infortunio – davanti alla difesa, dando spazio a Fofana e ricostruendo De Paul come mezz’ala in pianta stabile, ottenendo dall’argentino un campionato di sostanza e qualità, fino a farlo diventare un obiettivo delle big. Ha alternato con saggezza gli attaccanti Lasagna, Okaka e Nestorovski, in difesa ha rilanciato la solidità di Nuytinck. Il traghettatore è diventato la scelta del futuro, soluzione che a Udine è stata già esplorata in passato, e non sempre con le migliori fortune. Ma Gotti, ora, non sembra più uno di passaggio.
Nicola, un’altra impresa
La salvezza del suo Crotone è rimasta nella storia del calcio italiano, quella del Genoa è stata forse trascurata. Si sottovaluta l’impatto avuto da Davide Nicola sulla formazione rossoblù, che si era persa in mare aperto con Andreazzoli prima e con Thiago Motta poi. Nel giorno del suo ritorno – dopo l’esperienza da calciatore – al Genoa, il tecnico raccoglieva una squadra ultima in classifica, a -4 dalla zona salvezza, con la miseria di 11 punti fatti in 17 giornate. Con Nicola al timone, il Grifone ne ha messi insieme altri 28, sufficienti per centrare l’obiettivo, anche se soltanto all’ultima curva. La sua squadra volava prima del lockdown, aveva messo alle corde la Lazio e sconfitto il Milan a domicilio; si è dovuta riassestare dopo la sosta, trovando gli equilibri persi grazie a un saggio cambio tattico e a un’attenta scelta degli uomini. La qualità di Iago Falque e Pandev, abilmente incasellata in un 4-4-2 fluido e solido, ha fatto la differenza. “È come se ci fossimo salvati due volte”, ha dichiarato Nicola dopo il successo contro l’Hellas. Non si può dire che abbia torto.
Iachini, la sorpresa
Non se lo aspettava nessuno, forse neanche lui. Beppe Iachini ha preso una Fiorentina rassegnata, per ironia della sorte nella stessa giornata in cui Nicola prendeva le redini del Genoa. I viola erano stati appena schiaffeggiati a domicilio dalla Roma nella gara pre-natalizia e si trovavano con un margine minimo (+3) sul terzultimo posto. Una squadra costruita nella speranza di flirtare con la zona Europa League, e che per qualche settimana aveva anche dato la sensazione di potercela fare, era lentamente scivolata verso il baratro. Non ci sono stati sussulti, strisce impressionanti di risultati utili o un gioco sensazionale. Iachini ha semplicemente corretto la rotta, mettendo insieme 32 punti in 21 giornate. La Fiorentina, stando alle voci, ha inseguito tanti allenatori. Juric, Di Francesco, Ranieri, De Zerbi. Alla fine, non riuscendo a chiudere queste trattative, ha deciso non rischiare, di puntare ancora su Iachini. Delle sei scelte analizzate, è forse quella maggiormente legata all’impossibilità di avviare un nuovo progetto in tempi brevi insieme a quella del Milan, come se Iachini fosse diventato il traghettatore della sua stessa figura: un anno intero insieme per capire come andrà. In cuor suo, il tecnico sogna di essere il grande protagonista della Fiorentina del futuro.