Ride and smile è il motto dell’Unione ciclistica internazionale. Per l’Italia, però, da ridere c’è ben poco. Anche se questo Mondiale ha portato il pesantissimo oro di Filippo Ganna nella cronometro, il 10° posto di Caruso nella prova in linea come miglior risultato azzurro sulle strade di casa sembra davvero poco. Vero è che il percorso non si adattava agli azzurri e che il migliore di loro sui violenti strappi da Liegi del percorso iridato di Imola, Diego Ulissi, ha avuto problemi di stomaco nei momenti decisivi. Perfetto, fosse stato al massimo della forma, sarebbe stato Gianni Moscon: ma, appunto, al massimo della forma non era ed è rimasto a casa.
Colpisce, oltre al buco di ormai 12 anni alla casella vittorie azzurre, la concatenazione tra il Tour più avaro d’Italia degli ultimi trent’anni e questo Mondiale ben corso ma visto sempre da troppo lontano. Non c’era nessuno con Pogacar nel momento del grande numero dello sloveno. Solo Nibali, ma in affanno, quando Alaphilippe ha lanciato il suo attacco verso l’arcobaleno. Oltre a Moscon, un Formolo ci sarebbe stato benissimo in azzurro: il veronese ci ha provato, ma la frattura alla clavicola rimediata al Tour non gli ha permesso il miracolo. Tanta sfortuna, allora, ma anche qualche prestazione sottotono: solo Masnada, Nibali e Caruso si sono affacciati con velleità davanti. Bettiol si è tenuto in disparte nel momento della lotta. Gli altri hanno fatto fatica nelle fasi centrali. Se, come diceva il ct Cassani alla vigilia, “l’unico buon risultato in un Mondiale è vincere”, allora quello dell’Italia non è stato un buon risultato. Da questo punto di vista, tuttavia, non è stato il peggior Mondiale azzurro: nel 2015 a Richmond il miglior italiano era stato Nizzolo, 15°. Ma quell’anno, al Tour, Nibali era stato protagonista: 4° con una vittoria di tappa. La somma tra il Mondiale e quella sorta di Mondiale a tappe che è il Tour dava un risultato migliore cinque anni fa.
L’Italia è in involuzione? Questo no: qualche ragazzo interessante c’è e Bagioli, 21 anni appena, ieri 57° al suo primo Mondiale, può fare bene, anche in gare a tappe. Manca la punta assoluta, il fenomeno, l’Alaphilippe capace di infiammare, di vincere o perdere ma sempre da protagonista. Manca uno così. Il problema è che ci mancano anche un Van Aert, o un Hirschi, o un Van der Poel, per non parlare di un Evenepoel o di un Pogacar, e l’elenco è molto lungo. Ci mancano i fenomeni. I finalizzatori. Ora c’è il Giro. Un’altra corsa che abbiamo visto vincere troppo spesso ad altri, ultimamente.Fonte www.repubblica.it