avvocatoinprimafila il metodo apf

Mazzone: “Misi Pirlo davanti alla difesa, conquistò il mondo. Alla Juve saprà farsi ascoltare”

«Siamo felicissimi per Pirlo, se lo merita. Allenare la Juventus è un privilegio e una bella sfida. Certo che è pronto, conosce il calcio come pochi. È stato un grande campione e farà bene anche in questa nuova carriera da allenatore: lo scriva, ne siamo sicuri». La vita di Carlo Mazzone oggi si declina alla prima persona plurale. Noi. Carlo e la moglie, Maria Pia, che lui chiama affettuosamente Mannì. È lei che filtra le telefonate, lo affianca nelle relazioni pubbliche, gestisce la comunicazione. Sor Carletto nei secoli dei secoli – lo era a quarant’anni lo è oggi che ne ha 83 – vive ad Ascoli, quartiere Monteverde, la mattina si sveglia con calma, «È un dormiglione, io mi alzo presto e vado a prendergli i giornali» dice la moglie, fa una passeggiata con i figli, guarda il calcio in tivù, è un patriarca sereno che si gode i nipoti e trova ogni giorno la conferma di aver seminato molta umanità, non soltanto conoscenze calcistiche, nell’abbrivio – un respiro lunghissimo – delle sue 38 stagioni in panchina, da Ascoli 1968 a Livorno 2006, passando tra le altre per Catanzaro, Cagliari, Roma, Bologna e con il record delle 797 partite ufficiali.

Guardiola e Totti

«Ho mantenuto un bel rapporto con tanti ragazzi che ho allenato. Baggio l’ho sentito pochi giorni fa per le condoglianze, è morto suo padre, poveretto, mi è dispiaciuto tanto. Guardiola si ricorda sempre di compleanni e ricorrenze, ci messaggiamo spesso, è molto affettuoso con me. Francesco (Totti, ndr) è come un figlio, adesso si è messo a cercare talenti ma io gli ho detto scherzando: “guarda che uno forte com’eri tu in giro non lo trovi”. A molti di loro ho voluto bene e sapere che mi citano come un maestro mi fa felice».

L’incrocio al Brescia nel 2001

Nel 2001 il destino di Mazzone incrociò quello di un giovane Pirlo. Succedeva a Brescia, tappa intermedia di una carriera ancora incellophanata, cinque mesi di parentesi tra le incomprensioni all’Inter e l’esplosione al Milan. Fu un periodo decisivo per la maturazione di un fuoriclasse fin là inespresso. Mazzone ricorda: «Lo arretrai e lo piazzai davanti alla difesa, gli spalancai un mondo nuovo. Era il suo ruolo, era lì che doveva giocare. Prima era un trequartista come tanti, diventò il regista più forte del mondo. Ma non per merito mio, eh: parliamo di un campione assoluto, uno che ha il calcio nel dna, sarebbe successo comunque. Era già allora uno che comandava il gioco, lo «vedeva» prima degli altri. Da giocatore ha accumulato tanta esperienza, gli servirà anche adesso che comincia questa nuova avventura». Subito in panchina, senza aver mai allenato. Un rischio? Anche no. «Andrea è un ragazzo perbene, sa essere credibile quando parla, alla Juve lo ascolteranno. Io credo farà bene. E poi da qualche parte bisogna cominciare, no?».

“Quella corsa da matto”

La vita si comincia sempre, è la verità, ogni santo giorno, trovando anche l’ironia per scherzare sull’ultima curva, là in fondo. «A mia moglie ogni tanto dico: Mannì, vedrai, quando succederà e me ne andrò mi ricorderanno tutti per quella corsa da matto che ho fatto verso la curva dei tifosi, vedrai che andrà a finire così, le televisioni faranno vedere quella corsa e quello sarà Mazzone». Interviene «noi», prima persona plurale. «E io gli rispondo: Carlè, ti ricorderanno per tutte le cose belle che hai fatto, per i ragazzi che hai cresciuto, per come ti sei comportato da allenatore, per i valori che hai insegnato».

Fonte www.repubblica.it

Exit mobile version