“Conoscevo molto bene mio figlio e le sue abitudini. Da subito ho detto ‘me lo hanno ammazzato’, ed ora ne sono ancora più convinta. La mia battaglia continua per la verità. Spero si riaprano le indagini”: parole scandite da una madre, Tonina Belletti, che a distanza di 15 anni della morte di Marco Pantani si ‘divide’ tra lo ‘studio’ di carte processuali, l’allenamento ai bimbi della “Squadra Pantani”, e le visite al Museo dedicato al figlio a Cesenatico, meta di pellegrinaggio per i tanti tifosi del campione romagnolo. Ma l’impegno maggiore è sempre la lotta (“combatto ancora ma a volte mi sento alla frutta”) per confutare una verità giudiziaria contestata fin dall’inizio: Marco non fu vittima di un’overdose volontaria di cocaina e psicofarmaci (come sancito dalle sentenze) ma “fu ucciso, era diventato troppo scomodo”.
Un costante ‘combattimento’ anche fuori dalle aule di tribunale, nella vita di tutti i giorni. “Dopo la morte di Marco – racconta Tonina all’Agi – ho seguito i desideri di mio figlio. Voleva avere tanti ‘figli’ nel ciclismo per tirarli su a suo modo. Così ho fondato due squadre per bimbi da 6 a 12 anni. Una a Forlì e l’altra in Croazia. Un giorno ho sentito dire ad uno dei ‘miei’ ragazzini: ‘Ma non ti vergogni ad indossare la maglia di un drogato?’ Ma io non ho mai mollato e ho spiegato sempre la storia di Marco”.
“Mio figlio dava fastidio, c’era molta invidia”
La battaglia della mamma del ‘Pirata’ iniziò il 5 giugno 1999 a Campiglio quando il campione in maglia rosa fu estromesso dal Giro per un valore di ematocrito oltre i margini di tolleranza. Fu un’alba nera. Uno spartiacque tra un prima e un dopo nella vita di Marco. La sua famiglia ha sempre parlato di un complotto. “Gli esami sono stati manomessi. Purtroppo mio figlio dava fastidio. C’era molta invidia perché tutto quello che toccava diventava oro”.
Fu l’inizio di un declino che portò anche alla cocaina. “Me ne accorsi un giorno – ricorda Tonina – quando lessi una lettera indirizzata da Marco ad Ambrogio Fogar: ‘Non ho mai fatto uso di droghe durante la mia vita da sportivo’. Io non capii più niente. Con lui non riuscivo a parlare della droga. Mi bastava guardarlo negli occhi per capire come stava”. Nonostante tutto ci furono periodi anche di relativa tranquillità. “In seguito aveva smesso con questa ‘porcheria’ ma ci è ricaduto dopo il Giro d’Italia del 2003. Soffriva – spiega mamma Pantani – perché la sua squadra non fu invitata al Tour. Ma sono stati momenti di debolezza, non era un drogato né mai assunse sostanze dopanti”.
Dalle prime pedalate del piccolo ‘Pirata’ sulla bici della mamma, il gioco si trasformò in una passione poi in un lavoro. Ma la ‘bella vita’ o la fama non erano importanti per il grande scalatore. “Marco non si è mai interessato ai soldi – racconta Tonina – li chiedeva ancora a suo babbo. Alla fine diceva ‘se smetto di correre avrò i soldi per campare?”.
Paolo e Tonina Pantani
L’ultimo incontro
Tonina Belletti vide l’ultima volta il figlio a Milano, nella casa della sua manager, 15 giorni prima della morte. Dal San Valentino del 2004, niente più Tour o Giro d’Italia in tv o dal vivo. Una ‘censura’ lunga 14 anni per la mamma di Pantani fino ai mesi scorsi quando andò a vedere la tappa in Romagna del Giro. Così ecco i ricordi delle imprese del ‘Pirata’: “Marco sicuramente ha lasciato un segno, non perché era mio figlio ma quando correva. E pensare – ironizza la donna – che gli dicevo di andare pianino. Sembrava che le ruote non toccassero terra, aveva una grande eleganza”.
Testimone del costante affetto per un ciclista e uomo non certo dimenticato è il Museo accanto alla stazione di Cesenatico gestito dalla famiglia di Marco: coppe, bici, bandane, guanti, filmati con telecronache di ‘fuoco’, ed articoli di giornale. “Qui ho visto gente piangere, è diventato un pellegrinaggio. In tanti vogliono ancora un gran bene a mio figlio. Ci sono pullman che da Roma dopo la visita al Papa arrivano a Cesenatico”. Ma poi il pensiero torna alla sera del 14 febbraio 2004 quando il corpo senza vita di Marco Pantani fu ritrovato a terra in una stanza al quinto piano del residence Le Rose.
“Marco è stato ammazzato. Non era caduto in depressione era solo molto demoralizzato per quello che stava succedendo. La depressione è tutta un’altra cosa”. “Spero che si riapra il caso. Ci sono tante cose – sottolinea Tonina – che non mi convincono. Io conoscevo le abitudini di Marco. Ad esempio è stato trovato senza maglietta: piuttosto in casa stava senza mutande. La maglietta la teneva per paura della bronchite. Ci teneva troppo al suo corpo. I calzetti, poi, li indossava anche per dormire. Invece è stato trovato morto a piedi nudi”.
Una madre che promette ancora battaglia nel perseguire le proprie convinzioni con una determinazione che ha radici profonde. “Ho avuto due figli, uno dietro l’altro a distanza di cinque mesi – ricorda – e pensavo di non poterne avere. Per me è stata una felicità enorme seppure io e mio marito non avevamo una lira perché ci siamo sposati con i debiti. Avevo 18 anni. Ho sempre detto: ‘con me fate tutto quello che volete ma non toccate i miei figli – conclude – altrimenti divento una iena. L’hanno fatta grossa. Non mi sono rassegnata”.
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a [email protected].
Se invece volete rivelare informazioni su questa o altre storie, potete scriverci su Italialeaks, piattaforma progettata per contattare la nostra redazione in modo completamente anonimo.