ROMA – Se lo sport è fatica, impegno, sudore, costanza e perseveranza. Se è sbagliando che si impara. Se, citando Churchill, il successo è passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo. Insomma, se per vincere si deve passare da anni di sacrifici e bocconi amari, quando a essere il primo della classe è un debuttante, il castello retorico su cui si regge lo sport viene scosso nelle sue fondamenta. Con la vittoria nel Tour de France, Tadej Pogacar, 22 anni appena compiuti, ha realizzato una piccola serie di capolavori: primo sloveno a portarsi a casa la maglia gialla, secondo più giovane vincitore nella storia della Grande Boucle dopo Henri Cornet, che nel 1904 fu campione a 19 anni ma a tavolino dopo aver chiuso quinto in classifica. Era dal 1983 che la vittoria del Tour non andava a un esordiente (Fignon), e dal secondo dopoguerra era successo solo altre sei volte: a Robic, Coppi, Anquetil, Gimondi, Merckx e Hinault. Nomi di un certo calibro, che messi insieme fanno 45 trionfi tra Tour, Giro e Vuelta e che stanno lì a sottolineare la portata dell’impresa di Pogacar. Che, quando parteciperà alla Corsa rosa, potrà provare a eguagliare il primato di Coppi e Hinault, gli unici a centrare il successo al debutto sia al Tour che al Giro.
Sì, perché vincere al primo colpo non è mica facile: non c’è riuscito Michael Phelps, il re delle Olimpiadi (28 medaglie, di cui 23 ori) che però all’esordio a Sydney restò a bocca asciutta. Non ce l’ha fatta John McEnroe, il tennista più titolato della storia, che a 18 anni partì dalle qualificazioni di Wimbledon e arrivò fino in semifinale, dove venne battuto da Connors. Niente da fare nemmeno per Michael Schumacher, che vinse il primo dei suoi sette Mondiali alla quarta stagione in Formula 1. E Lewis Hamilton, che si accinge a raggiungere il tedesco in vetta alla classifica dei piloti più titolati, nel 2007 andò vicinissimo a farcela al primo tentativo ma nel decisivo Gp del Brasile pagò l’inesperienza e chiuse secondo dietro Raikkonen. Per rimanere in ambito F1, resiste da quasi sessant’anni il primato di Giancarlo Baghetti, unico pilota a vincere un Gran Premio (in Francia) al suo esordio assoluto. Se si passa dalle quattro alle due ruote, il discorso non cambia molto: Giacomo Agostini ha vinto il suo primo Mondiale alla quarta stagione nella classe 350 e alla seconda nella 500. E anche Valentino Rossi ha avuto bisogno di un anno di rodaggio prima di trionfare in tutte le classi in cui ha corso. Solo Kenny Roberts (1978) e Marc Marquez (2013) hanno preso tutto e subito, conquistando il Mondiale piloti all’esordio nella classe regina.
Questo breve e volutamente incompleto elenco sta a dimostrare che non sono le qualità del singolo sportivo a essere in discussione. Semplicemente, ognuno ha il suo tempo: chi oserebbe criticare Roger Federer e Novak Djokovic, che alle loro prime esperienze nei tornei dello Slam non riuscirono a portare a casa la vittoria? L’unico che potrebbe farlo è Rafa Nadal: tra lui e la terra rossa del Roland Garros fu amore a prima vista già nel 2005, quando il maiorchino aveva appena 19 anni. E chi mai potrebbe rinfacciare a Usain Bolt di non aver portato alla Giamaica nessuna medaglia ai suoi primi Giochi ad Atene? Forse non ci sarebbe riuscito neanche il figlio del vento Carl Lewis, che a Los Angeles 1984 vinse 4 ori ma era stato selezionato anche per Mosca 1980, prima che il boicottaggio deciso dal presidente Carter facesse saltare la partecipazione degli Stati Uniti.
Una doppia prima volta è stata quella dell’azzurra Ondina Valla: ai suoi primi Giochi, l’atleta che il padre aveva battezzato Trebisonda in omaggio all’amata città turca vinse l’oro negli 80 metri ostacoli. Erano le Olimpiadi di Berlino 1936, e Ondina conobbe anche Hitler, ma non capì cosa le disse perché non parlava il tedesco. Quella vittoria fece di Valla la prima italiana a vincere un oro olimpico e la trasformò in un simbolo per le ragazze nell’Italia mussoliniana, seppure il regime, appoggiato dal Vaticano, non fosse del tutto favorevole alla partecipazione femminile allo sport. Buonissima la prima ai Giochi anche per Marco Galiazzo, che ad Atene 2004 diventò il primo italiano a vincere l’oro nel tiro con l’arco (e bissò nel 2012 nella gara a squadre) e per Daniele Garozzo, trionfatore nel fioretto individuale a Rio 2016. Senza dimenticare le Olimpiadi invernali: d’obbligo citare Alberto Tomba e i due ori a Calgary 1988 nello slalom gigante e nello slalom speciale, con tanto di interruzione da parte della Rai della diretta del Festival di Sanremo per trasmettere la manche decisiva dal Canada. Ma anche Sofia Goggia, che a Sochi 2014 era andata in veste di commentatrice tecnica dopo la rottura del crociato, si prese la sua rivincita quattro anni dopo a Pyeongchang con l’oro nella discesa libera.
A proposito di Olimpiadi: se si fossero tenute nel 2020, forse Tokyo sarebbe stato un traguardo troppo prematuro per Benedetta Pilato, piccolo fenomeno del nuoto azzurro che ha già battuto il record di precocità di Federica Pellegrini debuttando ai Mondiali di Gwangju 2019 a 14 anni e sei mesi e vincendo l’argento nei 50 rana. Ma con il rinvio al 2021 a causa del coronavirus, la pugliese vede il Giappone come un obiettivo più concreto: ai suoi primi Giochi (Atene 2004), Federica Pellegrini chiuse con un argento nei 200 stile libero. Occhio a Baby Benny.
Fonte www.repubblica.it