“La gara di un arbitro? Come un corridoio di ‘Shining’ con 200 porte” BOLOGNA (ITALPRESS) – “Non volevo fare l’arbitro, ero un calciatore ed ero convinto di essere bravino. Ho iniziato a 16 anni ma solo a 29 l’ho scelta come professione”. Da allora ne ha fatta di strada Nicola Rizzoli, nel 2014 in campo al Maracanà per dirigere la finale mondiale fra Germania e Argentina e oggi designatore di serie A. Durante un webinar organizzato dal Bologna, l’ex fischietto ripercorre varie tappe della sua carriera, dalla partita più difficile arbitrata, un Messina-Catania in serie C quando aveva 25-26 anni, fino all’apice di Rio de Janeiro. “A differenza dei calciatori, l’arbitro la finale l’ha già vinta. C’è una tensione pazzesca per fare il proprio lavoro al meglio, bilanciata dalla gioia di poter scendere in campo per quella partita”. Finale mondiale a parte, Rizzoli ha avuto una carriera tale da poter essere considerato uno dei migliori direttori di gara di sempre in Italia. “Riuscire ad arbitrare bene è frutto della fiducia che ti viene concessa, dal fatto che i giocatori capiscono che sei una bilancia in equilibrio. Si litiga o si discute quando non si conosce qualcosa. Molte volte le proteste nascono dal fatto che non si conoscono le regole, per questo sono diventato arbitro”. “È anche vero – riconosce Rizzoli – che a volte gli arbitri non sanno parlare con i calciatori. Meglio sai comunicare con i giocatori, più sei credibile”. Però il designatore non può fare a meno di notare che “all’estero c’è un rispetto diverso e arbitrare è più facile. Come possiamo avvicinarci? Con un buon programma di formazione e condivisione si può ottenere di più. Oggi noi formiamo solo arbitri e le società i calciatori ma se conoscessimo tutti meglio le regole e le dinamiche delle squadre, si potrebbe migliorare il rapporto di rispetto reciproco e fiducia. Siamo uomini e ogni arbitro ha l’obiettivo di prendere la decisione più giusta perchè ci mette la faccia. Poi si può sbagliare. Già l’anno scorso avevo proposto un confronto prima di iniziare la stagione per spiegare e condividere le regole, per affrontare i dubbi. Poi per i media è più produttiva la polemica”. Rizzoli paragona la partita di un arbitro al corridoio di “Shining” con 200 porte, “ognuna è una decisione e una-due sono quelle che decidono la partita. L’obiettivo è aprire ogni porta, guardare in un secondo e chiudere, decidere. E quando si chiude, si deve chiudere a chiave, in modo di guardare le altre porte senza pensare a quello che si è deciso prima. Restare con la testa alla decisione di prima è l’errore più grosso. Se sbagli una volta e cerchi di compensare, sbagli due volte. E se entri in questo loop, sei finito”. Dall’altro lato, però, assicura che “le proteste non ci condizionano, venire a protestare non è una cosa logica. E se si becca un arbitro permaloso, più si protesta, più l’arbitro si chiude e farà l’opposto di quello che gli viene chiesto. Meno si protesta, più si ottengono risultati. Come si aiuta un arbitro? Basta rispettare le decisioni che prende. Se l’approccio è positivo, è di non voler mettere in difficoltà, già si aiuta”. Parlando di regole, invece, quella “sul fallo di mano è fra le più difficili, hanno cominciato a togliere la volontarietà mettendo parametri oggettivi ma resta la più complicata”. (ITALPRESS). glb/red 16-Mag-20 22:41
Rizzoli “Protesta chi non conosce le regole, più rispetto all’estero”
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By Redazione
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