A un certo punto dalle tribune dell’Allianz Cloud è partito pure ‘Seven Nation Army’, più conosciuto come ‘popopo’, il coro dell’Italia calcistica ai Mondiali del 2006. Poi un’ovazione dietro l’altra, facce incredule, mani nei capelli e sì, pure qualche occhio lucido dei nostalgici impazienti. Per una partita che – vale la pena ricordarlo – in fondo non dava nessun punto Atp e non assegnava nessun trofeo. Solo che avere davanti Jannik Sinner e vederlo giocare non può lasciare indifferenti. Persino chi della sensibilità emotiva non fa un proprio vanto, alla fine rompe gli argini e si fa trascinare da tanta bellezza, da tanta spontaneità. Sinner che perde un set al tie-break, che si dovrebbe pure un po’ arrabbiare, dovrebbe patire la delusione, e che invece decide di reagire a modo suo a quella cosa semplicemente ingiusta: la sconfitta. Decide che deve rispondere sul campo. Giocando ancora meglio, mettendo in un angolo un avversario che stava pure esprimendo un buon tennis, che è top 50 Atp ed è stato top 30 poco tempo fa.
Leggerezza e maturità
Jannik ha la leggerezza dei suoi 18 anni e la maturità di un uomo (un campione) di 30, una combinazione che a prescindere dai colpi sarebbe già foriera di risultati interessanti. Jannik ha un bagaglio tecnico imperfetto ma straordinario, incompleto ma sicuro, sicurissimo. Quando parla con coach Piatti durante i cambi di campo gli riversa addosso tutto il suo entusiasmo per essere lì, davanti a cinquemila persone che non credono ai loro occhi. E Riccardo, che di campioni ne ha visti tanti e ne ha pure allenati, fatica a contenere l’esplosività anche verbale del suo pupillo. Gli dice che va bene così, che deve continuare, mentre il rosso della Val Pusteria gli spiega come Tiafoe pensi allo stesso modo suo, e per questo è ancora lì, attaccato alle ruote, nonostante la differenza sia ormai evidente. Tiafoe che, poverino, parla con il coach che lo sprona a crederci e gli urla in faccia la sua frustrazione: “Gioca uno stramaledetto vincente ogni volta che giochiamo uno stramaledetto scambio! Come faccio a crederci?”. Poi la partita finisce, i due (che sono amici) si abbracciano, Jannik disegna un cuore con le mani, la gente è in piedi, applaude e sogna, come e magari più di lui.
Pubblico super
“Rispetto al match di Anversa – spiega Jannik alla stampa – abbiamo giocato meglio entrambi, abbiamo spinto di più e rischiato di più alla risposta. Io mi sono piaciuto, ho servito bene nei momenti decisivi e questo ha fatto la differenza. È stato fantastico giocare davanti a questo pubblico, che mi ha sostenuto dall’inizio alla fine. Non ho avuto molte opportunità di giocare in Italia e quando capita mi rendo conto che la gente è lì che lotta e soffre insieme a me. Stavolta ho vinto dunque non avrà sofferto poi così tanto…”. Infine un’occhiata alle regole: “Non mi entusiasmano, non credo possano avere futuro nel circuito, ma non dipende certo da noi giocatori”.