LISBONA – Il paradosso della carriera di Marco Verratti sta per concretizzarsi: può diventare il primo italiano a giocare una finale di Champions League senza avere mai giocato in serie A. Questo primo paradosso si arricchisce di un altro elemento: può essere il solo rappresentante, nell’atto decisivo del torneo per club più importante del mondo, di un movimento calcistico incline all’esterofilia, proprio lui che ne costituisce la più vistosa eccezione, essendo dal 2012 fulcro del centrocampo del Paris Saint-Germain. Ma una lettura meno superficiale della vicenda del campione italiano tatticamente più internazionale – quanta strada ha fatto il ragazzo di Manoppello, entroterra pescarese, cresciuto nel Pescara e sbocciato in serie B con gli insegnamenti di Zeman e con Immobile e Insigne come compagni – la rende meno paradossale. Se Verratti è ormai parigino da tanto tempo e se non ci sono segnali di un ritorno in Italia, significa essenzialmente due cose: che il Psg se lo tiene molto stretto, che i club italiani non se lo possono permettere o non se lo sono mai voluti permettere e che lui preferisce restare in una squadra dalla dimensione e dalle ambizioni dichiaratamente mondiali. Ben pagato e coccolato dalla proprietà qatariota del Psg, a Parigi ha trovato subito la certezza di essere apprezzato per il suo valore tecnico: non è un caso che i tutti i fuoriclasse ingaggiati negli anni dal presidente Khelaifi, da Ibrahimovic a Neymar, lo abbiano immediatamente trattato come uno di loro. E non è un caso neppure che tutti gli allenatori passati dal Parco dei Principi, da Ancelotti in giù, lo abbiano riconosciuto come essenziale.
Sebbene spezzata dall’interruzione della Ligue 1 per coronavirus e dal rinvio dell’Europeo, la stagione 2019-20 è stata finora per Verratti la migliore: non tanto per i titoli vinti in Francia, perché i tifosi del Psg ormai sbadigliano per un campionato vinto, per una Coppa di Francia, una Coppa di Lega e una Supercoppa nazionale, quanto per il rendimento in campo con il club e per il ruolo più che centrale nella Nazionale di Mancini. Fino al 2018 la maglia azzurra era fonte di cruccio e rimpianti per un talento che nell’Italia ha soltanto 36 presenze, malgrado il debutto, in linea appunto col suo talento, risalga al 2012. Gli infortuni muscolari gli hanno fatto perdere partite e occasioni, qualche equivoco tattico sulla sua posizione ha fatto il resto. Mancini ha azzerato la questione, affidandogli la bacchetta del direttore d’orchestra in coppia con Jorginho: ha funzionato subito, lui si è divertito sempre di più e a poco a poco è diventato il trascinatore in campo. Se l’istinto glielo suggerisce, anche in posizione più avanzata, vicino ai vecchi amici Insigne e Immobile, ma partendo sempre da dietro.
La cena della squadra al ristorante di cui Verratti è socio
In fondo a nemmeno 28 anni – il compleanno è a novembre – ha un’età abbastanza giovane per ritrovare le occasioni perdute, a cominciare dall’Europeo nel 2021. La prima occasione sta già arrivando e Tuchel, schierandolo nel finale della partita col Lipsia, ha dimostrato l’intenzione di concedergliela. Era una prova della guarigione dall’infortunio muscolare al polpaccio, colpito in allenamento da Choupo Moting, l’eroe per caso della vittoria con l’Atalanta. Verratti è un simbolo del Psg qatariota. Mentre i campioni arrivavano e qualcuno poi partiva, è sempre rimasto per inseguire il vero obiettivo della società: la Champions. Nel rinnovo del contratto fino a giugno 2024, quando avrà 31 anni, c’è tutta la volontà dell’emiro Al Thani e di Leonardo, tornato come capo del settore sportivo, di farne il marchio degli undici anni del Qatar al Paris Saint-Germain. Invece il ruolo fuori dal campo lo spiega in maniera molto eloquente la foto su Instagram del ventisettesimo compleanno di Verratti: nella trattoria italiana di Faubourg Saint-Honoré di cui è socio c’è tutta la squadra, ma proprio tutta, in posa per Marcò. Con l’accento alla francese, perché è grazie a Parigi che il ragazzo di Manoppello può giocare domenica la prima finale di Champions della storia del Psg. Per rappresentare, indirettamente, anche quella serie A in cui non ha mai giocato.
Fonte www.repubblica.it