“Non saprei definire questa squadra con una sola parola, me ne servirebbero tante”. Sergi Bruguera, capitano della Spagna in Coppa Davis, con quelle parole ha omaggiato Rafa Nadal, Roberto Bautista Agut, Feliciano Lopez, Marcel Granollers, Pablo Carreno Busta, ossia i cinque giocatori che hanno portato la Spagna a vincere la prima edizione della nuova Davis a Madrid.
Proprio in Coppa Davis, sul velocissimo campo in sintetico indoor di Mosca, Bruguera si era rivelato al mondo nel 1988. Era il suo secondo incontro in nazionale, nel primo aveva perso contro gli austriaci Horst Skoff e Thomas Muster, un avversario quest’ultimo che avrebbe sofferto per tutta la carriera. A Mosca, Bruguera premiò la scelta del capitano Manolo Orantes e battè Chesnokov.
Fu l’inizio di un cambio di passo per il tennis spagnolo. L’esplosione di Bruguera (qui una gallery della sua carriera) maturerà dopo gli anni migliori di Emilio Sanchez, che ha sempre mal sopportato Sergi e il padre Lluis, suo primo maestro e mentore. Tanto che i due sono ancora, di fatto, rivali: Emilio Sanchez ha fondato con l’amico e compagno Sergio Casal un’accademia diventata un colosso in Europa, Lluis gestisce la sua a Barcellona.
Non solo un arrotino
“Mio padre è stato un esempio – ha detto Bruguera al sito dell’ATP – e mi ha trasmesso il valore del lavoro, il senso dell’onore, la disciplina, la forza di volontà”. Mentre mamma Silvia è rimasta in secondo piano, preparandogli i panini prosciutto e pomodoro dopo le partite, Lluis ha interpretato un ruolo da protagonista nella carriera di Sergi. Campioni si nasce, diceva, ma grandi giocatori si diventa. La sua idea di allenamento, sintetizzata sul sito della sua accademia, prevede una metodologia basata sull’affinamento della solidità, sulla resistenza e la comprensione delle tattiche di gioco: su tutte, la costruzione del punto attraverso i colpi in top-spin che permettono di trasformare la difesa in attacco.
Imposta così, come giocatore di resistenza e regolarità da fondo, anche il figlio Sergi. Un giocatore spesso inquieto, con un’aria un po’ sofferta, infelicemente considerato solo un “pallettaro”, un arrotino di lusso. Da fondo, disegna traiettorie alte e velenose di dritto, gioca un rovescio bimane profondo ma può staccare la mano e controllare le rotazioni in back. A rete scende poco, ma la sensibilità di mano non gli manca. E poi dipinge smorzate mortifere e passanti stretti che ridefiniscono le geometrie del gioco.
Il sogno che si realizza
È uno dei pochi ad aver chiuso la carriera con un bilancio positivo negli scontri diretti con Pete Sampras, battuto tre volte su cinque: una di queste nei quarti di finale del Roland Garros 1993. Bruguera aveva già dominato Thierry Champion con il quinto 6-0 6-0 6-0 nella storia degli Slam al maschile. In semifinale batterà poi Andrei Medvedev, uno dei suoi migliori amici sul circuito, con cui giocherà a Miami nel 1997 quella che ha definito la sua miglior partita in carriera.
In finale, a cadere sarà Jim Courier: 6-4 2-6 6-2 3-6 6-3 in 3 ore e 59 minuti. Sergi diventa così il primo spagnolo a vincere il Roland Garros dal 1972, il primo a conquistare uno slam dal 1975 quando Gimeno sconfisse Connors agli Us Open. “Da quando avevo sei anni – ha raccontato per il sito dell’ATP – a ogni compleanno esprimevo un desiderio prima di spegnere le candeline. Ora posso dirlo, visto che si è realizzato: volevo vincere il Roland Garros”.
Sulla terra, in quegli anni era quasi imbattibile. Per sconfiggerlo, come ha ammesso il brasiliano Fernando Meligeni, che allo spagnolo si arrese negli ottavi di quel Roland Garros: “Servirebbero quattro gambe, quattro polmoni, due fegati”.
Il bis parigino
Mai oltre il quarto turno negli altri tre tornei dello Slam, capace comunque di qualificarsi per tre volte al Masters, nel 1994 si conferma campione alla Porte d’Auteuil. Non perde un set fino alla semifinale, poi è ancora Courier a “sporcare” la serie; infine, si impone 6-3 7-5 2-6 6-1 su Alberto Berasategui nella prima finale tutta spagnola nella storia del Grande Slam. Diventa così il primo spagnolo a trionfare due volte a Parigi dai tempi di Manolo Santana (1961 e 1964), e il primo ad aver vinto più di un major nell’era Open.
La Spagna diventa la settima nazione ad aver portato due giocatori a contendersi il titolo in uno Slam dopo Australia, Usa, Repubblica Ceca, Svezia e Germania. Si aggiungerà poi l’Argentina nel 2004, quando Gaston Gaudio sconfiggerà Guillermo Coria in una surreale finale del Roland Garros.
Sergi Bruguera
Bruguera riceve il trofeo dalle mani del re Juan Carlos ed entra in top 5. Il primo agosto di quel 1994, raggiunge il suo best ranking di numero 3 del mondo. È la sua ultima grande stagione, in cui festeggia il quattordicesimo e ultimo titolo ATP a Praga: li ha vinti tutti sulla terra rossa tranne uno, a Bordeaux nel 1993. “Ero uno specialista della terra battuta” ha detto al sito francese Tennis Legend. “All’epoca le superfici erano molto diverse. Ho giocato sul duro per la prima volta allo Us Open a 18 anni. Era difficile per me abituarmi, non potevi scivolare, la palla ti arrivava più veloce e i colpi liftati facevano meno male. Al coperto, poi, i campi erano quasi ingiocabili. E sull’erba dovevo fare serve and volley sulla prima e sulla seconda di servizio”. E così ha vinto uno spettacolare, e non troppo ricordato, secondo turno a Wimbledon nel 1994 contro Pat Rafter, 13-11 al quinto set.
Il suo ultimo acuto resta la finale del Roland Garros del 1996 contro uno straordinario Guga Kuerten, che conquista il cuore dei tifosi parigini. Alza il suo ultimo trofeo al Challenger di Barletta del 2002 e chiude la carriera con la sconfitta ai quarti del challenger di Segovia contro Olivier Mutis.
Verso la Hall of Fame
Ricordato come monocorde, candidato a entrare nella Hall of Fame nel 2020, Bruguera è in realtà un campione multiforme, che si è preso il tempo di divertirsi con gli sport estremi: paracadutismo, rafting, bungee jumping. È un tifoso del Barcellona che, appesa la racchetta al chiodo, ha preso gli scarpini e ha giocato qualche stagione nelle serie semiprofessionistiche spagnole.
È diventato coach di Richard Gasquet e, quest’anno, di Jo-Wilfried Tsonga. Ha continuato così in modi diversi il suo percorso che ha reso la Francia, e soprattutto il Roland Garros, il luogo del cuore e delle grandi emozioni per il tennis di Spagna. Una storia che Nadal ha continuato in altri undici capitoli di gloria e di leggenda.