TORINO – I tifosi del Toro ne hanno viste (e patite) talmente tante che ormai sono abituati a tutto e a tutto sono preparati. Non a caso, sanno stemperare la rabbia con l’ironia, diluire lo sconforto con il sarcasmo. Storicamente, hanno anche preso – o non preso – delle posizioni che alla luce dei fatti successivi si sono rivelate controproducenti: e accettano anche di sentirselo dire. Di sicuro, però, ai tifosi del Toro non si può rimproverare una scarsa resistenza e una bassa capacità di sopportazione; né è facile riscontrare altrove una fede così forte, oltre ogni avversità, e una speranza che riesce – incredibilmente – a non morire mai. Malgrado la morte sia stata troppe volte compagna di vita della squadra e della società granata. Nell’epoca eroica come in quella moderna.
L’iniziativa
E, in qualche modo, ancora adesso. Perché, secondo la maggioranza ormai quasi plebiscitaria dei cuori granata, il Toro di oggi vive – e fa vivere alla sua gente – una vita che certo, morte non è, ma troppe volte assomiglia a un’agonia. Almeno a livello di emozioni, di aspirazioni, di partecipazione concreta, di valori rispettati, di simbiosi con i giocatori e i dirigenti; di quello spirito, insomma, rivolto al futuro con fiducia che sempre – anche nei momenti peggiori – ha contraddistinto il Toro di ieri. E allora succede che i tifosi – tifosi misti, di varia estrazione, non organizzati nel modo in cui ci si poteva organizzare un tempo negli stadi ma uniti dal filo granata della resistenza umana – decidano di ridarsi una funzione propositiva. Cercando di recuperare quel ruolo di forza propulsiva che le dinamiche del calcio moderno hanno loro poco alla volta sottratto, e che la pandemia ha inevitabilmente consegnato a una dimensione più marginale di commentatori da tastiera. […]
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Fonte tuttosport.com