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Trasloco degli US Open a Indian Wells: ma è davvero praticabile?

 

Tra mille incertezze e al di là delle dichiarazioni talvolta pessimistiche di chi, come Nadal, ritiene che sia “molto difficile che il tennis possa ripartire in tempi brevi”, l’obiettivo di tutti, dall’ATP alla WTA passando per l’ITF è salvare il salvabile di quel che resta tennisticamente di questo terribile 2020 travolto dalla pandemia da coronavirus. Sempre, naturalmente, salvaguardando la salute di atleti e appassionati. Il punto fermo, al momento, è che il tennis non riprenderà prima del 12 luglio. Uno stop probabilmente destinato ad andare oltre, almeno a livello internazionale, perché come sottolinea lo stesso Nadal “è il momento di essere responsabili e coerenti, quindi non vedo come potrebbe essere possibile viaggiare ogni settimana spostandosi da una nazione all’altra”.

Da diversi giorni sono sempre più insistenti le voci secondo cui gli US Open 2020 potrebbero aver luogo a Indian Wells e non a New York, la città statunitense più martoriata dalla pandemia da coronavirus. Peraltro, come altri grandi impianti sportivi, il Billie Jean King National Tennis Center di Flushing Meadows, attualmente è utilizzato come struttura temporanea per la cura di pazienti affetti da Covid-19 e per la produzione di pasti di emergenza per i senza tetto. Gli organizzatori si sono dati tempo fino a inizio giugno per decidere su un eventuale rinvio o cancellazione del torneo, in programma dal 31 agosto al 13 settembre, ma ora l’USTA, la federazione americana, starebbe riflettendo seriamente su un possibile cambiamento della sede. Nei giorni scorsi lo stesso sindaco di New York, Bill De Blasio, aveva dichiarato di essere molto pessimista sulla possibilità di far giocare il torneo seppur con l’impianto di Flushing Meadows a porte chiuse. Dopo il quotidiano francese “Le Parisien”, la notizia è stata rilanciata dallo spagnolo “Marca”. Indian Wells, che ospita annualmente il Masters 1000 maschile e il Premier Mandatory femminile (si sarebbero dovuti giocare lo scorso marzo e sono stati entrambi cancellati per la pandemia), si trova in California, stato meno colpito dal COVID-19 rispetto a New York, ed ha tutte le strutture necessarie per ospitare un torneo del Grande Slam. Il centrale può ospitare circa 16mila spettatori: è il secondo stadio da tennis più grande al mondo dopo l’Arthur Ashe Stadium che conta circa 23.000 posti. Ci sono poi uno stadio da 8mila posti, altri due da 4mila e 3mila posti, cinque campi secondari e 20 per gli allenamenti. Lo stesso “Marca” ha evidenziato, tuttavia, anche alcune controindicazioni. La prima, secondo quanto trapela sempre dall’USTA, sarebbe che il principale sponsor del torneo, la banca JP Morgan con sede a Manhattan, non gradirebbe affatto il trasloco sulla Costa Ovest, dalla parte opposta degli States. C’è poi il clima: tra fine agosto e settembre le temperature nel deserto californiano superano i 40 gradi all’ombra. Decisamente troppo, a meno che non si decida di giocare solo nelle sessioni notturne, ipotesi non percorribile visto il numero di incontri che prevede il tabellone a 128 di uno Slam. Oltretutto i campi da gioco sono 9 e non 17 come a Flushing Meadows. Una differenza sostanziale. In un momento storico inimmaginabile solo un paio di mesi fa come quello che stiamo vivendo ci vorrà tanto spirito di adattamento, ma l’ipotesi del trasloco a Indian Wells per lo Slam a stelle e strisce probabilmente rimarrà soltanto tale.

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