Chissà se Melania Delai si mangerà le mani o riconsidererà tutta la trasferta australiana. Dopo la finale nell’ITF di Traralgon, grazie alla quale era entrata nel main draw del torneo junior di Melbourne Park, al secondo turno la diciassettenne nata a Trento era stata avanti un set e 4-2 (con palla del 5-2), poi aveva servito sul 6-3 6-5, quindi aveva avuto sulla racchetta due match point nel tie-break del secondo set e un’altra palla per chiudere l’incontro nel tie-break del terzo. Non aveva mollato un centimetro, Melania, nonostante un fastidio all’adduttore, un caldo sahariano, tre ore di lotta e un’avversaria che rimandava qualsiasi cosa, ma alla fine era uscita sconfitta 36 76 76 contro una mancina bionda, la più giovane del lotto agli Australian Open 2020.
Quella ragazza si chiamava Victoria Jimenez Kasintseva. E quattro giorni dopo si sarebbe portata a casa il titolo di campionessa junior nel primo Slam stagionale, grazie al successo in finale sulla Baszak, una ragazzona polacca dotata di rovescio a una mano e volto alla Modigliani. Victoria si è imposta dopo 2 ore e quattro minuti col puteggio di 57 62 62, vincendo la quarta partita su sei dopo l’avvio a handicap e conquistando il suo primo mini major. A 14 anni, 5 mesi e 23 giorni. E dato che questo non rappresenta un primato assoluto (CoCo Gauff aveva 13 anni e tre mesi quando nel ‘18 vinse a Parigi), Victoria ha pensato bene di mettere sul piatto un unicum vero, la nazionalità andorrana.
Come il tabacco e i circuiti integrati, il padre Joan Jumenez-Guerra è infatti al 100% un prodotto del principato pirenaico, 75mila anime su 468 km quadrati, finito sotto i Visigoti dopo la caduta dell’Impero Romano e dopo mille ghirigori della Storia oggi retto da due co-principi. Uno dei quali in realtà è un alto prelato catalano e l’altro il Presidente francese, cioè Macron. Inevitabile che un posto del genere, per di più freddo, con un unico campo indoor e più filiali di banche che borsoni da tennis, finisse per diventare più adatto come paradiso fiscale che come fucina di talenti.
E invece Joan Jimenez-Guerra ci ha provato lo stesso, e archiviata una carriera mediocre da pro (al massimo numero 505 ATP), ha imboccato la strada di coach della figlia, nata dal matrimonio con Yulia Katinsev, una donna russa conosciuta a Barcellona dove lei studiava contabilità e lui giocava assieme all’argento olimpico Jordi Arrese. Venuta al mondo il 9 agosto del 2005, Victoria ha impugnato la racchetta a tre anni, ha iniziato a prendere davvero il passatempo sul serio a 11, e prima dei 13 è finita sotto l’ala protettrice dell’ex arbitro ATP Enric Molina, nel frattempo convertitosi a manager.
Il resto lo hanno fatto una volontà di ferro, in campo e fuori (“ho una personalità forte, nel bene e nel male”), un carattere forgiato dai continui andirivieni tra Barcellona e La Vella, e temprato dalla resistenza alle sirene della federtennis spagnola. E così, poco più che teen-ager, Victoria Jimenez Kasintseva è diventata campionessa juniores slam. Grazie a questa biondina quattordicenne che parla cinque lingue (inglese, francese, catalano, castigliano con un lieve accento russo e russo con un forte accento spagnolo – a giudicare dai colleghi madrelingua), Andorra ha finalmente vissuto il suo primo giorno di gloria tennistica.
E potrebbe non essere l’ultimo.