Presto gli influencer saranno solo quelli che rischiano di attaccarti l’influenza, si spera. Pare che i followers a milioni si stiano rivelando la truffa mediatica che in realtà sono. Molti ormai capiscono che i nanoinfluencer sono più attendibili
Da ilpost.it
Anche chi è un frequentatore solo occasionale dei social network avrà sentito almeno una volta il termine influencer, una parola che identifica quelle persone che hanno un gran numero di seguaci e quindi sono in grado di influenzare i gusti del pubblico – in termini di consumi – grazie alla loro popolarità. Alcune di queste persone sono famose perché artisti o modelli, ma molte altre hanno un grande seguito proprio per via della loro presenza sui social network, in particolare su Instagram, e dei contenuti che pubblicano.
Gli addetti ai lavori distinguono tra tre tipi di influencer, in base al loro seguito: megainfluencer, quando hanno più di 500mila followers; normali influencer quando ne hanno tra i 100mila e i 500mila; microinfluencer, che ne hanno tra i 10mila e i 100mila. Negli ultimi tempi, però, si sta sviluppando una nuova categoria, molto diversa da quelle sopra citate: sono i nanoinfluencer, che hanno meno di 10mila followers ma che nel loro piccolo stanno cambiando il modo in cui le aziende fanno marketing sui social network.
Il mercato dei post sponsorizzati sta cambiando
I primi tre tipi di influencer sono da anni sempre più cercati dalle aziende che vogliono sponsorizzare i loro prodotti, che sia una crema per il viso, un marchio di scarpe o delle misteriose bevande “bruciagrassi” (se ve lo chiedete, la risposta è no, non funzionano). Il mercato, però, è diventato così vasto che spesso per un’azienda investire su un solo grande influencer richiede un prezzo troppo alto, e non garantisce i ritorni economici desiderati. Circolano stime molto diverse, ma considerate che una persona con 100mila followers può essere pagata da un’azienda 1.000 dollari (circa 900 euro) per sponsorizzare un prodotto, mentre quando si parla di milioni di followers le cifre per un singolo post possono superare i 50.000 euro.
Ai nanoinfluencer, invece, spesso può bastare ricevere un prodotto in omaggio, senza pagare, in cambio di un post sponsorizzato. Certo, non sono famosi, ma anche per questo hanno un rapporto spontaneo e non artificioso con i propri followers, e per chi vuole fare pubblicità sui social network investire su di loro può voler dire ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Sono persone comuni che, nonostante abbiano pochi followers, riescono a creare con questi un legame di fiducia più forte rispetto ai personaggi più famosi. Rendono molto meno dei personaggi famosi, certo; ma costano anche molto meno.
Inoltre, ingaggiare un personaggio famoso anche solo per un paio di post richiede spesso una serie di trattative molto precise, e le aziende non possono certo costringerli a dire o fare cose che questi personaggio non vogliono dire o fare. I nanoinfluencerinvece non hanno grandi pretese, e in cambio di prodotti gratis o piccoli compensi dicono qualsiasi cosa le aziende vogliano. Il New York Times racconta per esempio di Alexis Baker, una ragazza di 25 anni con circa 3mila seguaci su Instagram, che sul suo profilo ha sempre pubblicato prevalentemente foto dei suoi vestiti o delle sue vacanze. Un giorno la sua presenza sul social network è cambiata e ha iniziato a comportarsi come una delle tante famose influencer di moda, iniziando a pubblicizzare nelle sue foto cosmetici, shampoo e altri prodotti, accompagnati dagli hashtag #sponsored (sponsorizzato) o #ad (pubblicità). «I miei amici mi dicevano: “Aspetta un attimo, tu non hai decine di migliaia di seguaci. Come è possibile che ti abbiano contattato?” E io non sapevo proprio cosa rispondere».
Per i nanoinfluencer non è una questione di soldi
Chi si occupa del reclutamento di queste nuove figure sono agenzie specializzate che analizzano i profili sui social network e contattano le varie persone per proporre loro di collaborare: per il momento soprattutto negli Stati Uniti, ma è una tendenza secondo molti destinata ad arrivare anche in Europa. Obviously, per esempio, è un’agenzia di marketing specializzata negli influencer, con 7.500 nanoinfluencer che pubblicizzano i prodotti dei suoi clienti. Secondo Mae Karwowski, CEO e fondatrice di Obviously, questa strategia sarà quella che più di tutte darà frutti in futuro: progetta di raddoppiare entro marzo il numero di nanoinfluencer con cui collaborare, a scapito degli influencerpiù famosi. «Lavorare con influencer sempre più piccoli ci ha dato una grande spinta, perché la loro capacità di coinvolgere chi li segue è molto alta, mentre tra gli influencerpiù grandi si è arrivati a un punto di saturazione».
Questa strategia funziona in particolare con le generazioni più giovani, ormai abituate a vedere sui social network persone che pubblicizzano prodotti, e che quindi desiderano far parte anche loro di questo mercato degli influencer. Per un nanoinfluencer pubblicizzare un prodotto non è un lavoro, ma il solo fatto di poter dire ai propri seguaci di essere stati contattati da un’azienda li gratifica e li fa sentire importanti. «È un po’ come quando una tua amica ti consiglia un prodotto per la pelle», ha raccontato Kelsey Rosenberg, anche lei diventata una influencer con poco meno di 2mila seguaci, «ma io invece di farlo con le mie amiche durante un aperitivo, lo faccio con i miei seguaci su Instagram».