(Afp)
Aereo, Gatwick
Il blocco dell’aeroporto di Gatwick del 19 dicembre, causato dal presunto avvistamento di droni nelle vicinanze della pista di decollo, sarebbe costato a EasyJet circa 18 milioni di euro, come riporta la compagnia aerea. In un rapporto l’azienda ha descritto l’aspetto economico della vicenda, nella quale il clima natalizio del secondo scalo più grande di Londra è stato rovinato da uno stop di 36 ore dell’hub, che ha portato alla cancellazione di più di mille voli e a disagi per migliaia di passeggeri.
A un mese dall’episodio – e a pochi giorni dall’arresto di un altro uomo trovato a pilotare un drone vicino al più grande aeroporto di Heathrow – “è sempre più evidente l’importanza di fare prevenzione, di stabilire protocolli d’azione e di verificare la reale capacità di un drone di danneggiare un aereo”, ha spiegato ad Agi Luca Masali, giornalista esperto di droni e fondatore della testata Dronezine.
“L’episodio di Heathrow è stato gestito in modo efficace, con una chiusura al traffico aereo di solo un’ora – spiega Masali – e questo ci dimostra che con l’organizzazione anche i possibili disagi possono essere ampiamente evitati”. Tuttavia, nel caso del blocco aereo di Gatwick, del presunto drone avvistato da passeggeri e personale non c’è traccia. Non una fotografia né un video delle telecamere di sorveglianza è stato in grado di riprendere l’oggetto non identificato che, per ammissione delle stesse autorità, potrebbe non essere mai esistito.
Come evitare i falsi allarmi?
A questo servono i sistemi specifici, di cui il mercato internazionale sta vedendo la fioritura, in grado di identificare un drone ed eventualmente disattivarlo a distanza qualora si avvicinasse a un’area interdetta al traffico di simili apparecchi. Oppure capaci di chiarire se vi sia un reale pericolo o se l’avvistamento di un oggetto non identificato sia solo frutto di un errore, come quando nel 2016, il pilota di un Airbus A320 della British Airways denunciò alle autorità di averne urtato uno, scoprendo poi che si trattava di una busta della spesa.
Nelle scorse settimane una squadra di Fucilieri dell’Aria del 16° Stormo di Martina Franca si è qualificata per operare in autonomia con sistemi elettromagnetici per il contrasto all’uso illegittimo dei droni. Impiegando un sistema radar di rilevamento (Counter Unmanned Aerial System, sistema aereo di contrasto ai velivoli senza pilota a bordo) con ottiche diurne e notturne e dispositivi per l’interdizione elettronica per inibire il volo assicurando la necessaria sicurezza, la squadra è pronta alle attività di protezione di aeroporti, infrastrutture critiche o altri siti sensibili. L’attività è stata resa possibile grazie a una collaborazione strategica tra l’Aeronautica Militare e l’azienda Ids – Ingegneria Dei Sistemi, società italiana specializzata nel settore dell’aeronautica e dei sistemi senza pilota.
Tuttavia, la gran parte dei dispositivi in commercio è dotata di sistemi di geofencing, che cioè si arrestano e tornano indietro quando stanno per entrare in una zona vietata, come quelle degli aeroporti. Questi sistemi, basati sulla geolocalizzazione del dispositivo, fanno parte della comune dotazione di sicurezza dei droni, che ne garantisce il ritorno al punto di partenza automatico e la stabilizzazione anche se se ne dovesse perdere il controllo.
La situazione italiana
Nel 2017, le segnalazioni di episodi che hanno coinvolto aeromobili a pilotaggio remoto o aeromodelli sono state 46, secondo quanto riportato dall’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo italiana (Ansv). “Tuttavia, non è mai stato trovato il responsabile di questi avvistamenti, né sono stati individuati i droni”, precisa Masali: “Non sono mancati in passato falsi positivi, come quando il pilota di un aereo di linea ha segnalato la presenza di un drone a cinquemila metri d’altitudine nell’Artico canadese, luogo dove peraltro è estremamente improbabile che qualcuno si metta a giocare con dei droni”.
Nel suo rapporto annuale, pubblicato ad aprile, l’Ansv ha precisato che la gran parte degli avvistamenti sarebbero avvenuti in “aree sensibili per l’attività di volo”, zone dunque già interdette all’utilizzo di droni dalla vigente normativa. “Se i responsabili venissero individuati – precisa Masali -, questi rischierebbero un’incriminazione per il reato di attentato alla sicurezza dei trasporti”. Ma oltre al problema giuridico, ce n’è anche uno amministrativo: in Italia, la normativa distingue i droni per l’utilizzo – hobbistico o professionale – e non per la dimensione”, spiega Masali. “L’obbligo di essere assicurati però è previsto solo per i secondi, e questo fa sì che anche un amatore possa usare un aeromobile a pilotaggio remoto del peso di due chili o più senza obbligo di essere assicurato”.
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