di Carmelo Cutuli
E’ ormai pacifico che le applicazioni nel campo dell’intelligenza artificiale stanno aprendo nuove possibilità per migliorare la vita umana. L’avanzamento dell’AI solleva però anche interrogativi etici su come interagire responsabilmente con essa e, più in generale, con le emergenti tecnologie antropomorfe.
Già oggi l’AI ha il potenziale per ampliare le capacità cognitive e fisiche degli esseri umani in modi che non hanno precedenti. Attraverso l’apprendimento automatico, il riconoscimento vocale e visivo, la robotica e altre tecniche, l’intelligenza artificiale può integrare e migliorare le capacità innate degli esseri umani.
Gli assistenti virtuali basati sull’AI possono aiutare ad organizzare la nostra vita quotidiana in modo più efficiente. I robot guidati dall’AI possono svolgere compiti fisici faticosi o pericolosi, liberando gli esseri umani per attività più creative e gratificanti. Gli strumenti di realtà aumentata con AI incorporata possono fornire informazioni contestuali per migliorare il processo decisionale umano. In tutti questi casi, la tecnologia AI agisce come un’estensione delle nostre facoltà native, non come un sostituto.
Tuttavia, se sviluppata e applicata incautamente, l’AI potrebbe minacciare di sostituire già oggi in parte – e forse completamente in futuro – il lavoro e il ruolo degli esseri umani in molti ambiti lavorativi. Prendiamo ad esempio il campo della guida autonoma. Se i veicoli a guida autonoma sostituissero completamente i conducenti umani, milioni di posti di lavoro andrebbero perduti – a livello globale – nel settore dei trasporti. Inoltre, gli esseri umani perderebbero l’esperienza stessa di guidare, con tutto il piacere e la crescita personale che ne derivano. Questo è solo un esempio di come la tecnologia potrebbe “deumanizzare” la nostra società se permettessimo all’AI di sostituire completamente, piuttosto che migliorare, le capacità umane.
I rischi in ordine ad un sopravvento dell’AI sul genere umano sono preconizzati da moltissimi analisti ed anche uno che di tecnologia e di mercati se ne intende, il CEO di Apple Tim Cook, ci avverte che « Per essere veramente intelligente, l’intelligenza artificiale deve rispettare i valori umani, compresa la privacy. Se ci sbagliamo, i pericoli sono profondi». Quindi, il punto è quello di capire come l’umanità possa tenere saldamente in mano il timone dell’innovazione evitando la navigazione ‘a vista’ e stabilendo prima ancora di mollare gli ormeggi rotta e meta di questo affascinate viaggio nel futuro. Un viaggio in cui l’intelligenza artificiale si pone come strumento per potenziare le capacità umane, non di sostituirle.
Per evitare questi rischi, i decisori – politici e non – devono adottare un approccio incentrato sull’uomo all’intelligenza artificiale con l’obiettivo principale di utilizzare l’AI come strumento per rafforzare le capacità cognitive e le prestazioni degli esseri umani. Ciò significa mantenere gli esseri umani al centro del processo decisionale, con l’AI come supporto per fornire dati, individuare modelli e suggerire opzioni. Ma le decisioni finali spettano ancora agli esseri umani. Significa anche richiedere alla R&D l’AI come tecnologia complementare, non sostitutiva, integrando la tecnologia nel flusso di lavoro umano invece di automatizzarlo completamente. Infine, significa ricordare che gli esseri umani hanno bisogni sociali, emozionali e spirituali che vanno ben oltre la pura efficienza e produttività. Una società sana ha bisogno di arte, cultura, empatia e connessione umana.
C’è lo ricorda anche Papa Francesco, nel messaggio d’inizio anno, che «il nostro mondo è troppo vasto, vario e complesso per essere completamente conosciuto e classificato. La mente umana non potrà mai esaurirne la ricchezza, nemmeno con l’aiuto degli algoritmi più avanzati. Questi, infatti, non offrono previsioni garantite del futuro, ma solo approssimazioni statistiche».
Il Pontefice, nello stesso messaggio, ci mette in guardia dal pericolo di stabilire «improprie graduatorie tra i cittadini». Pertanto, l’obiettivo finale dell’intelligenza artificiale non potrà essere che quello di creare una simbiosi uomo-macchina in cui le migliori capacità di entrambi si potenziano a vicenda anzichè entrare in competizione con l’effetto di annullarsi. Per realizzare questa visione, dobbiamo quindi impegnarci attivamente per un progresso tecnologico al servizio dell’umanità, non per sostituirla. L’intelligenza artificiale ha un potenziale enorme, ma dobbiamo guidarne lo sviluppo lungo un percorso etico che elevi la nostra umanità comune, non la degradi.
Se riusciremo in questo intento, il futuro della collaborazione uomo-AI potrebbe portare ad una ‘Golden Age’ in cui uomo e macchina possano convivere armoniosamente rispettando il rispettivo “mandato genetico”. In questo scenario ideale, gli esseri umani potranno esprimersi al meglio, in qualsiasi campo, applicando pensiero creativo, empatia ed intelligenza emotiva – lasciando all’AI i compiti più ripetitivi e meccanici.
L’obiettivo finale dovrebbe, pertanto, essere quello di integrare al meglio le capacità complementari di uomo e macchina. Un concetto che, per quanto riguarda i servizi al cittadino, è stato recentemente espresso da Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni, prospettando l’opportunità di «concepire una vera e propria ‘PA aumentata’, in cui le capacità del personale umano vengono amplificate dall’apporto dell’AI così come avviene con la realtà aumentata. In questa visione, l’automazione non sostituisce ma piuttosto potenzia il fattore umano».
Una visione ambiziosa, quella di un futuro di armonia tra umanità e intelligenza artificiale, che può trasformarsi in realtà solo se riusciremo a mantenerci saldamente ancorati ai valori della sostenibilità, della responsabilità e del bene comune.