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La scommessa di Mohammed VI sul turismo green in Marocco

Il Marocco che ha appena tenuto a battesimo il patto globale dell’Onu, sempre a Marrakech, nel 2016, aveva ospitato il Cop22 sui cambiamenti climatici. Un anno dopo la conferenza delle Nazioni Unite contro il Global Warming si è trasferita in Germania, per approdare, una settimana fa, in Polonia. Già nel 2001, a un paio di anni dalla salita al trono di Mohammed VI, il Paese che aspira al ruolo di guida e modello dell’Unione africana (Ua), era stato il primo del continente a ospitare i Cop dell’Onu. Il giovane sovrano era convinto che migrazioni e sviluppo sostenibile fossero questioni profondamente intrecciate. Non a caso, i suoi esperti di corte hanno messo a punto il piano Vision 2020 con l’obiettivo di porre al centro del regno una crescita ecologica e integrata, spinta dal turismo verde.

MOHAMMED VI, LEADER AFRICANO DEL TURISMO SOSTENIBILE

Uno sviluppo nel rispetto della natura e delle culture locali, a lungo termine, crea migliaia di posti di lavoro sul territorio, anche per gli immigrati subsahariani del Marocco. Dal 2001 il turismo è in forte crescita nel regno: più del 12% del Pil nazionale arriva dal flusso di visitatori, nel 2018 si sono registrate più di 11 milioni di presenze (+10% in un anno) per un totale di oltre 500 mila impiegati nel settore che, in prospettiva, dovrebbero diventare 2 milioni. Ma Mohammed VI non vuole che il cemento invada le spiagge dell’Atlantico minacciate dall’erosione per i cambiamenti climatici o che i paesaggi siano esposti alla desertificazione. Proprio per questo al Cop22 di Marrakech è stata firmata tra il regno e l’Organizzazione mondiale del turismo dell’Onu, la Carta per il Turismo sostenibile in Africa. Un modello di questo eco-sviluppo sono i cantieri aperti a Taghazout, oasi per surfisti a una ventina di chilometri da Agadir nel Sud del Marocco, dove anche gli europei, e tra questi un italiano, stanno investendo.

IN MAROCCO FA SCUOLA IL MODELLO TAGHAZOUT

A Taghazout, Boris Romanò, guida turistica di Verbania trapiantata a Berlino, è approdato qualche autunno fa da surfista e da un paio di anni, nella sua proprietà fronte mare, lavora per mettere in piedi un surf camp, attrezzato con diversi servizi e comodità. «Un luogo magico», racconta Romanò a Lettera43.it. «La residenza ha una ventina di posti letto, ma voglio che il mio camp sia anche altro, qualcosa più dell’ostello e delle attrezzature e agli spazi per i corsi di surf. Ci devono essere Internet, libri, riviste, per rilassarsi e magari anche lavorare sulla terrazza di fronte al mare, come fanno ormai tanti creativi nei coworking. Il camp, insomma, deve anche creare sviluppo. Per Agadir ci sono voli low cost da diversi Paesi d’Europa (dall’Italia per Marrakech) e l’attività di Romanò è una delle strutture sostenibili che stanno nascendo nel villaggio, in linea con il modello di turismo del regno.

OLTRE 600 ETTARI DI BAIA INCONTAMINATA

Per il Marocco la baia di Taghazout è il simbolo di uno sviluppo, anche di lusso, a misura di uomo. Il villaggio delle spiagge bianche battute dal vento e dalle onde, scoperto dai surfisti hippie negli Anni 70 e da allora mutato poco o nulla, deve restare un luogo del benessere. Lontano dalla filosofia di Agadir, la Rimini del Marocco distante solo un quarto d’ora d’auto, e anche dall’inflazionata capitale marocchina dei surfisti Essaouira, più a Nord. Il piano urbanistico per i circa 600 ettari della baia prevede un campo da golf e un hotel, un resort ecologico e diverse residenze più piccole, come l’ostello che vuole aprire Romanò, nel villaggio del surf. Poi accademie per imparare a cavalcare sulle onde, negozi di artigiani, locali e luoghi per eventi culturali. Le strutture, in parte aperte e in parte in costruzione, sono modellate, secondo il piano del governo, «sui principi del risparmio energetico, della riduzione delle emissioni, della protezione della biodiversità e dell’ecosistema, dell’impiego di personale locale».

LA RISERVA NATURALE DELL’ATLANTE

Sport, natura, cultura e sostenibilità sono i «quattro assi» del piano urbanistico che attrae gli stranieri, finanziato anche dall’Agenzia francese per lo sviluppo. Alle spalle delle dune di sabbia di Taghazout si staglia la parte meridionale dei monti dell’Atlante, dove si può fare trekking tra le cascate e le foreste, nella Valle del Paradiso. È purtroppo la stessa catena dove quest’anno, più a Nord, nell’entroterra verso Marrakech, sono state uccise due escursioniste scandinave, da un gruppo che ha agito con la barbarie dell’Isis. Il fatto ha scioccato il Marocco, dove dal 2011 non si erano mai verificati attacchi o rapimenti di estremisti islamici, grazie anche alle misure severe dell’antiterrorismo di Rabat che scambia continuamente informazioni con l’Ue. La regione di Taghazout è poi abitata dalla minoranza dei berberi, solitamente lontana da reti jihadiste. Per conservare la loro economia locale, il piano di sviluppo include l’istituzione di una cooperativa, in un’area protetta di 80 ettari di alberi di argan.

DOPO GLI ALBERGHI, LE MOSCHEE VERDI

Proprio in queste foreste le donne si tramandano da secoli la raccolta dei frutti e dell’estrazione a mano dell’olio per gli alimenti e i cosmetici: un patrimonio di tradizioni artigiane e di biodiversità che non si vuole distruggere con le costruzioni edilizie. Nel 2017 Mohammed VI è stato anche partner dell’Onu per l’Anno internazionale del Turismo sostenibile e gli investimenti in questa direzione sono stati indirizzati anche in altre regione del Marocco, dove si trova il più vasto parco eolico dell’Africa. Nel Saraha è spuntato anche un enorme parco solare. Diversi gli alberghi di Marrakech sono stati premiati per gli alti standard ambientali e la prossima sfida è rendere eco-friendly entro il 2019, grazie a un’iniziativa in tandem con il governo tedesco, le circa 600 moschee del regno. «Il turismo di massa non ci interessa, il futuro è il turismo verde» ha dichiarato l’Ufficio nazionale del turismo, il motto anche di Mohammed VI.

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