Si è spento oggi a Roma all’età di 93 anni lo stimato attore e regista Giuliano Montaldo (nato a Genova il 22 febbraio 1930), maestro del cinema italiano dagli anni ’60 per oltre mezzo secolo, spesso dietro la cinepresa di titoli impegnati e tratti dalla grande letteratura del ‘900 (Sacco e Vanzetti, Gli intoccabili, Giordano Bruno, L’Agnese va a morire, Gli occhiali d’oro, Tempo di uccidere, I demoni di San Pietroburgo, L’industriale). Ha collaborato con i massimi professionisti di tre generazioni, da Lizzani, Lupo e Volontè a Morricone e Storaro, a Favino, Purgatori, Bruni (per cui vinse il David come miglior attore non protagonista nel 2018, dopo quello alla carriera nel 2007). Si confrontò anche con la televisione negli anni ‘80, con lo sceneggiato-kolossal Marco Polo: l’abilità nella narrazione popolare e l’approfondita esplorazione della storia cinese gli aprirono le porte del teatro d’opera, sull’immenso palcoscenico dell’Arena di Verona, per cui firmò la prima di molte regie liriche.
Fu proprio Turandot il suo primo titolo areniano (9 recite nel 1983, subito riprese dalle tv, nel cast Dimitrova, Martinucci, Gasdia e Furlanetto), ripreso nel 1991 e nel 1995 (rispettivamente per 12 e 8 serate): le scene di Luciano Ricceri, con nuvole e pagode a ricoprire ogni gradone dello spazio scenico, sono tutt’oggi un colpo d’occhio difficile da dimenticare. Proprio lo scenografo Ricceri e sua figlia Elisabetta Montaldo ai costumi furono inseparabili compagni d’avventura nelle molte esperienze areniane, sempre accompagnate da un grandissimo consenso di pubblico: l’unico Attila in Arena (1985, immortalato anch’esso in video), l’ultimo Otello (1994, con artisti quali Domingo, Bruson, Ricciarelli), La Bohème (1992 e 1994), Un Ballo in maschera (debutto di Licitra, 1998), Tosca (1998 e 2002, con Dessì, Cedolins, La Scola, Carroli, Raimondi…)
Cecilia Gasdia, Sovrintendente della Fondazione Arena di Verona, debuttò come solista sul palcoscenico areniano in quella Turandot del 1983 e tornò protagonista della sua Bohème nel ’94: «Se ne va uno dei più grandi maestri del nostro tempo, un uomo ammirato e imitato, un artista che amava lo spettacolo in tutte le sue forme e lo sapeva porgere al grande pubblico. Ne conservo un ricordo personale bellissimo, per cui era un onore e un piacere poter essere diretti da lui. A nome di Fondazione Arena, per cui ha firmato alcuni degli spettacoli più amati e significativi della storia recente, rivolgo le più sentite condoglianze alla famiglia, alla moglie Vera, alla figlia Elisabetta, ai nipoti».