“Se non l’avessi saputo ok, ma sapendolo mi sembrava troppo da sopportare. Io sono stata fortunata perché da sana ho vissuto senza sapere della mutazione fino a 30 anni, ma perdere il seno è stato psicologicamente impegnativo. Ho pensato a mia figlia che magari l’avrebbe saputo a 18 anni e si sarebbe rovinata la spensieratezza, la femminilità. Così mi sono detta: devo far tutto ciò che è in mio potere per evitarglielo o lei vivrà con questa bomba a orologeria che può darle problemi importanti”. E’ la confessione densa di sollievo ma anche carica delle tante prove superate di Sveva, 33 anni, che alla Dire racconta come è diventata mamma della piccola Aurora, che oggi ha 9 mesi, nata senza la mutazione BRCA1, la stessa di Angelina Jolie che predispone ad alcuni tipi di cancro – prevalentemente al seno e all’ovaio – dopo una fecondazione assistita e una diagnosi pre-impianto. Un percorso affatto facile: solo da poco alcune Regioni consentono di effettuare lo screening per queste mutazioni, purtroppo affidata prevalentemente ai centri privati.
LA SCELTA – “Ho parlato con un centro qui in Veneto dove vivo, per 2 mesi hanno fatto uno studio di fattibilità e poi da lì tutto è andato liscio: la stimolazione, il pick up, la produzione di 5 embrioni, 2 con mutazione e 3 no, avevo 3 chances e la prima è andata subito bene”.
Sveva ha ereditato la mutazione del gene BRCA1 dal papà: la scoperta a febbraio 2019 è stata “uno tsunami”. Ha intrapreso subito la chirurgia preventiva di riduzione del rischio al seno (mastectomia bilaterale con ricostruzione) e per le ovaie al momento segue una stretta sorveglianza. “Sapevamo di una certa familiarità di sorelle e di nonni ma era un ricordo lontano. La doccia fredda- ricorda- è arrivata nel 2018 quando mia cugina di soli 28 anni si ammala di cancro al seno. La giovane età è subito spia per i medici che la seguono per il test e a cascata per tutti noi: io e mia sorella siamo positive”.
Sveva poco dopo averlo scoperto, va avanti con la sua vita. E’ sposata da appena 4 mesi. Decide di sottoporsi alla mastectomia bilaterale di riduzione del rischio nonostante molti le dicano di fare un figlio e allattare prima, poi inizia a leggere, a cercare informazioni e a documentarsi per capire se esista la possibilità di avere un figlio senza la mutazione: “Ero in treno e ho iniziato a leggere, la regione Veneto dal 2016 autorizzava la diagnosi pre impianto BRCA su embrioni e c’era una lista di centri privati”. Il costo complessivo di tutto, tra farmaci e tecniche, è stato di “10mila euro, senza considerare i 300/400 euro all’anno per mantenere gli altri due embrioni più il costo di ogni impianto che si aggira sui 1.500 euro”. Sveva è stata la prima donna BRCA presa in carico in quel centro, la forza, la motivazione e le informazioni le ha trovate nell’associazione aBRCAdabra, la prima nata in Italia per le persone portatrici delle mutazioni patogenetiche BRCA.
Sveva ha ereditato la mutazione del gene BRCA1 dal papà: la scoperta a febbraio 2019 è stata “uno tsunami”. Ha intrapreso subito la chirurgia preventiva di riduzione del rischio al seno (mastectomia bilaterale con ricostruzione) e per le ovaie al momento segue una stretta sorveglianza. “Sapevamo di una certa familiarità di sorelle e di nonni ma era un ricordo lontano. La doccia fredda- ricorda- è arrivata nel 2018 quando mia cugina di soli 28 anni si ammala di cancro al seno. La giovane età è subito spia per i medici che la seguono per il test e a cascata per tutti noi: io e mia sorella siamo positive”.
Sveva poco dopo averlo scoperto, va avanti con la sua vita. E’ sposata da appena 4 mesi. Decide di sottoporsi alla mastectomia bilaterale di riduzione del rischio nonostante molti le dicano di fare un figlio e allattare prima, poi inizia a leggere, a cercare informazioni e a documentarsi per capire se esista la possibilità di avere un figlio senza la mutazione: “Ero in treno e ho iniziato a leggere, la regione Veneto dal 2016 autorizzava la diagnosi pre impianto BRCA su embrioni e c’era una lista di centri privati”. Il costo complessivo di tutto, tra farmaci e tecniche, è stato di “10mila euro, senza considerare i 300/400 euro all’anno per mantenere gli altri due embrioni più il costo di ogni impianto che si aggira sui 1.500 euro”. Sveva è stata la prima donna BRCA presa in carico in quel centro, la forza, la motivazione e le informazioni le ha trovate nell’associazione aBRCAdabra, la prima nata in Italia per le persone portatrici delle mutazioni patogenetiche BRCA.
L’ASSOCIAZIONE aBRCAdabra- Tra gli impegni dell’associazione c’è anche quello di lavorare con gli specialisti del settore e con le istituzioni per comprendere cosa può essere offerto e in quali strutture sanitarie affinché si possa parlare davvero di equità e accessibilità. Liste d’attesa, disponibilità dei centri su tutto il territorio sono i limiti del servizio sanitario pubblico su storie come quella di Sveva e della sua piccola. “Magari non è la priorità- ammette Sveva- ma sarebbe giusto avere almeno un supporto economico”.
“La preservazione della fertilità, del benessere sessuale, della procreazione medicalmente assistita e della PGT (test genetico pre impianto) sono percorsi assistenziali che in quasi tutte le regioni d’Italia sono totalmente slegati dalla presa in carico delle donne con un problema oncologico attivo o con il rischio di sviluppare un tumore nel corso della vita, proprio come Sveva e tutte le altre donne portatrici delle varianti patogenetiche BRCA. Ancora più rari- spiega la presidente di aBRCAdabra Ornella Campanella- i centri in grado di offrirli con il sostegno del Sistema sanitario nazionale. Quindi ancora una volta, così come per l’esenzione D99 e per i percorsi dedicati a donne e uomini che convivono con questo rischio, per la possibilità di offrire una vita serena al proprio figlio, devi avere la fortuna di risiedere in una regione fortunata (e non è questione di Nord-Sud), oppure devi avere delle possibilità economiche importanti. Il nostro Paese, anche in questo caso, continua irresponsabilmente ad allontanarsi dal modello assistenziale universalistico ed equo”.
“La preservazione della fertilità, del benessere sessuale, della procreazione medicalmente assistita e della PGT (test genetico pre impianto) sono percorsi assistenziali che in quasi tutte le regioni d’Italia sono totalmente slegati dalla presa in carico delle donne con un problema oncologico attivo o con il rischio di sviluppare un tumore nel corso della vita, proprio come Sveva e tutte le altre donne portatrici delle varianti patogenetiche BRCA. Ancora più rari- spiega la presidente di aBRCAdabra Ornella Campanella- i centri in grado di offrirli con il sostegno del Sistema sanitario nazionale. Quindi ancora una volta, così come per l’esenzione D99 e per i percorsi dedicati a donne e uomini che convivono con questo rischio, per la possibilità di offrire una vita serena al proprio figlio, devi avere la fortuna di risiedere in una regione fortunata (e non è questione di Nord-Sud), oppure devi avere delle possibilità economiche importanti. Il nostro Paese, anche in questo caso, continua irresponsabilmente ad allontanarsi dal modello assistenziale universalistico ed equo”.
I DUBBI E LA GIOIA – Il percorso non è stato facile e non solo per gli aspetti economici, continua Sveva: “Ti fai scrupoli a fare stimolazioni ormonali con la mutazione, non la fai a cuor leggero. So che per molti è un’esagerazione e tra 20 anni ci sarà un farmaco,áo mi auguro qualcos’altro, io però avevo paura di rovinarmi con le mie mani. Adesso sono contenta e quando ho saputo che sarebbe nata una femminuccia è stata un’esplosione di gioia”.
Sveva non voleva una bambina perfetta, ma libera. “Se fossi rimasta incinta non avrei abortito a causa della mutazione BRCA. Penso però che con i giusti limiti il progresso possa migliorare le nostre vite, se abbiamo uno strumento per permettere a un essere umano di avere una vita migliore non vedo perché no”.
Sveva impianterà a breve gli altri due embrioni senza mutazione e quando sua madre le parla degli altri 2 che testeranno con mutazione un’ombra le si allunga un po’ sullo sguardo. “Penso che se mia mamma avesse fatto cosi io non sarei nata, poi penso anche però che se non avessi fatto la PMA questi bimbi non sarebbero nati e la piccola Aurora arrivata da tutte queste difficili dinamiche era proprio destinata a nascere e farà grandi cose. Oggi sono contenta”.
Sveva si sente coraggiosa e lo dice: “Quando ho scoperto la mutazione volevo che non cambiasse la mia vita invece l’ha cambiata, ma oggi posso non ammalarmi e so che mia figlia non dovrà vivere con questo rischio”. Non è un cambiamento, è una rivoluzione che “ha cambiato in positivo tutta la mia vita”, conclude Sveva, mentre Aurora sullo sfondo fa sentire la sua vocina per la poppata del giorno.
Sveva non voleva una bambina perfetta, ma libera. “Se fossi rimasta incinta non avrei abortito a causa della mutazione BRCA. Penso però che con i giusti limiti il progresso possa migliorare le nostre vite, se abbiamo uno strumento per permettere a un essere umano di avere una vita migliore non vedo perché no”.
Sveva impianterà a breve gli altri due embrioni senza mutazione e quando sua madre le parla degli altri 2 che testeranno con mutazione un’ombra le si allunga un po’ sullo sguardo. “Penso che se mia mamma avesse fatto cosi io non sarei nata, poi penso anche però che se non avessi fatto la PMA questi bimbi non sarebbero nati e la piccola Aurora arrivata da tutte queste difficili dinamiche era proprio destinata a nascere e farà grandi cose. Oggi sono contenta”.
Sveva si sente coraggiosa e lo dice: “Quando ho scoperto la mutazione volevo che non cambiasse la mia vita invece l’ha cambiata, ma oggi posso non ammalarmi e so che mia figlia non dovrà vivere con questo rischio”. Non è un cambiamento, è una rivoluzione che “ha cambiato in positivo tutta la mia vita”, conclude Sveva, mentre Aurora sullo sfondo fa sentire la sua vocina per la poppata del giorno.
Fonte: Agenzia Dire