Dare risposte con esiti concreti alle donne affette da cancro al seno. Da questo obiettivo nasce il gioco di parole alla base di ‘Dual AnswHER2+’, evento regionale promosso da Roche Italia che ingloba nel proprio titolo l’esigenza di fornire soluzioni alle pazienti affette da una delle forme più aggressive di carcinoma mammario, l’HER2+. Con il convegno di Milano, la casa farmaceutica punta a creare spazi e momenti dedicati al dibattito sulle opportunità che le innovazioni terapeutiche e tecnologiche offrono. Soprattutto negli ultimi anni si è infatti assistito a un’evoluzione dei percorsi di cura nel cancro: basti pensare agli approcci neoadiuvanti e alle formulazioni sottocutanee, elementi chiave che possono generare un impatto significativo sulla sopravvivenza, sulla qualità di vita delle pazienti e sull’efficienza dei centri ospedalieri per il Sistema Sanitario. Un altro fattore importante è la rimborsabilità della combinazione di trastuzumab e pertuzumab più chemioterapia. La combinazione di questi farmaci ha modificato il percorso decisionale terapeutico del tumore al seno HER2+ nel contesto neoadiuvante e soprattutto ha migliorato la sopravvivenza nelle pazienti ad alto rischio di recidiva. Per il dottor Alberto Zambelli, Capo Sezione di Senologia Oncologica all’Humanitas IRCCS di Rozzano, “la terapia neoadiuvante nel trattamento del tumore mammario HER2+ oggi consente un significativo miglioramento della sopravvivenza grazie a una miglior calibrazione della terapia individuale. Inoltre, con la disponibilità resa possibile qualche mese fa di pertuzumab, ci allineiamo alle migliori evidenze scientifiche e alle più attuali raccomandazioni nazionali e internazionali per la cura di questo tipo di tumore”.
La percentuale delle donne ad alto rischio che accedono a un percorso neoadiuvante è incoraggiante: in media in Italia vi ricorre il 54% delle pazienti affette da cancro HER2+ in fase precoce. Si sale addirittura all’85% se il dato si rapporta alla sottopopolazione ad alto rischio per la quale la combinazione è specificamente indicata. Sul fronte del ricorso alla formulazione sottocutanea, si può ancora fare tanto. Mario Airoldi, direttore della Struttura Complessa di Oncologia medica 2 alla Città della Salute e della Scienza di Torino, oltre che coordinatore dell’Area Ospedaliera Rete Oncologica Piemonte e Valle D’Aosta, durante l’evento promosso da Roche ha illustrato i vantaggi di questo tipo di terapia: “La formulazione sottocutanea a dose fissa evita errori di dosaggio, diminuisce il tempo di somministrazione e risulta più accettata dalla paziente, che ove possibile riceve le cure a casa. Nel caso del tumore al seno HER2+ in fase precoce l’impatto è particolarmente rilevante, perché spesso si tratta di donne giovani con una vita lavorativa, familiare e sociale attiva. Favorire una maggiore prossimità delle cure deve essere una priorità in oncologia, associando all’attenzione a terapie efficaci la possibilità di evitare o diminuire tossicità fisiche, psicologiche e finanziarie per le pazienti e le strutture ospedaliere, sempre più sotto pressione per l’elevato numero di prestazioni da garantire”. Anche di questo tema si è discusso durante la giornata di dibattito. Importante la testimonianza di Damiano Consoli, infermiere presso l’ospedale San Martino di Genova: “Il nostro day hospital oncoematolologico è attivo da quattro anni ed è uno dei più grandi d’Italia. Con 300 pazienti al giorno, poter accorciare i tempi di attesa e permanenza consente un servizio migliore sia per chi lo eroga sia per chi lo riceve. Abbiamo quindi creato uno spazio ad hoc per effettuare terapie sottocutanee a livello della coscia e terapie intramuscolari, così da garantire la giusta privacy. Altre terapie sottocutanee da somministrare su braccio o addome vengono eseguite regolarmente sulle poltrone standard. Abbiamo inoltre potuto introdurre gli infermieri case manager, che si occupano di quattro o cinque pazienti al giorno e sono disponibili anche al telefono per i dubbi che possono sorgere a casa. Come infermieri auspichiamo di essere sempre più coinvolti nelle riunioni collegiali dei medici”.
Un fattore chiave per garantire un accesso ottimale ai nuovi percorsi è rappresentato dal team multidisciplinare o Breast Unit. Secondo Francesca Angela Rovera, Direttrice del Centro di Ricerca in Senologia della SSD Breast Unit ASST Settelaghi di Varese, “nella maggior parte delle breast unit il chirurgo è la figura professionale che per prima incontra la paziente, quindi è importante che conosca il valore dell’approccio neoadiuvante, una strategia che è in grado di ridurre il rischio di diffusione della malattia perché interviene con una terapia sistemica in sinergia con la chirurgia. Il bisturi agisce localmente, mentre la terapia farmacologica interviene sulla massa tumorale. Questo consente di ottenere, nelle condizioni migliori, una risposta patologica completa e, in ogni caso, una riduzione dimensionale: interventi chirurgici che un tempo sarebbero stati demolitivi, sia sulla mammella sia sul cavo ascellare, diventano oggi interventi conservativi. La multidisciplinarietà favorisce la discussione pre e post-operatoria dei casi e permette una pianificazione ottimale, con la messa a punto di percorsi personalizzati per ogni paziente“.
Con quasi 56mila nuovi casi ogni anno, quello al seno è il tumore più diffuso tra le donne, nonché il più diagnosticato nel nostro Paese negli ultimi dodici mesi. La forma HER2+ coinvolge circa il 20% delle pazienti ed è proprio per questo che la ricerca sta esplorando nuove strade, proponendo percorsi di cura sempre più mirati ed efficaci che migliorano di anno in anno l’aspettativa di vita di chi si trova a dover affrontare questa patologia.