La problematica delle MGF, sebbene diffusa principalmente in 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, è universale. Infatti, questa usanza è comune anche in alcuni Paesi dell’America Latina e dell’Asia. Non sono da escludere, inoltre, l’Europa, l’America del Nord, l’Australia e la Nuova Zelanda dove le famiglie immigrate continuano a rispettare questa tradizione.
“Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche di rimozione o modifica di parti esterne dei genitali femminili compiute per ragioni non terapeutiche e per questo sono considerate una violazione dei diritti umani, come specificato dall’OMS. Si stima che il numero di donne che convive con una mutilazione genitale nel mondo ammonti a circa 125 milioni e che ogni anno quattro milioni di bambine siano a rischio di subirla, soprattutto in alcuni paesi africani”.
Le mutilazioni genitali femminili sono considerate reato in Italia. Eppure tale pratica è presente. Alcuni pediatri infatti hanno riscontrato la presenza delle mutilazioni nelle figlie di alcune donne immigrate. La legge dice che tali casi debbano essere segnalati perché si tratta di una lesione grave fatta su una minorenne. In Italia è considerata un reato anche quando la mutilazione sia stata eseguita all’estero e indipendentemente da chi l’abbia prodotta.
Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.
Per promuovere l’eliminazione delle MGF, sono necessari sforzi coordinati e sistematici, che devono coinvolgere intere comunità e concentrarsi sui diritti umani, sull’uguaglianza di genere, sull’educazione sessuale e sull’attenzione ai bisogni delle donne e delle ragazze che ne subiscono le conseguenze.