Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu ucciso il 9 maggio 1978 dalle Brigate Rosse, con le quali lo Stato decise di non trattare.
L’immagine del corpo dell’ex presidente del Consiglio Italiano Aldo Moro esanime, accartocciato su sé stesso nel bagagliaio di una Renault 4 ritrovata in via Caetani, a Roma, ha cambiato la storia del nostro paese.
Quella fotografia, il 9 maggio 1978, fece il giro del mondo. Ancora oggi, rappresenta il simbolo degli “anni di piombo”: l’apogeo di una guerra civile strisciante che ha segnato l’Italia lungo gli anni Settanta e Ottanta. Fatta di centinaia di attentati, stragi e morti. Di un universo incontrollato, magmatico, di movimenti politici che superarono fatalmente i confini estremi dei loro schemi teorici. Di ruoli mai fino in fondo chiariti di alcuni apparati dello stato.
A due giorni di distanza dal rapimento, sabato 18 marzo, le Brigate Rosse annunciarono il loro “comunicato numero uno” da una cabina telefonica del centro di Roma. “Aldo Moro – recitava il testo – è detenuto in una prigione del popolo e sarà giudicato da un tribunale del popolo”. Cominciava un dramma che durò 55 giorni, punteggiato di silenzi e comunicati delle Br e segnato dal drammatico dibattito interno alla Dc: accettare o rifiutare una trattativa con i terroristi.
I 55 giorni di prigionia, il no alla trattativa e l’ordine di esecuzione
Al governo e nella Dc, in effetti, passa la linea dura. Il partito, Andreotti e il ministro dell’Interno Francesco Cossiga in testa, rifiutano ogni compromesso con le Br. Alcuni decenni dopo la vedova Eleonora accuserà: “Coloro che erano ai differenti posti di comando del governo lo volevano eliminare”. L’ultimo comunicato dei terroristi, il numero nove, arrivò il 5 maggio. Annunciava la conclusione del processo popolare a carico dello statista: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza”. Aldo Moro scrisse alla moglie: “Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione”. Quattro giorni dopo il suo corpo sarà ritrovato a via Caetani. Una strada scelta con cura: situata ad identica distanza dalle sedi del Pci e della Dc.
Le condanne dei brigatisti e le confessioni del funzionario americano
Per l’omicidio di Aldo Moro vennero condannate decine di brigatisti, compreso Mario Moretti, tra i fondatori delle Br e all’epoca a capo dell’organizzazione. I giudici inflissero 32 ergastoli e 316 anni di carcere. Al di là delle condanne, tuttavia, moltissime tesi sono state avanzate attorno al sequestro Moro. Alcuni hanno ritenuto che le Brigate rosse fossero state infiltrate dai servizi segreti americani, con l’obiettivo di screditare la causa comunista in un paese nel quale il Pci raccoglieva ormai un terzo dei consensi.
Dieci anni fa, nel 2008, le tesi di un coinvolgimento degli Stati Uniti furono avvalorate dalle confessioni di un ex funzionario di Washington, Steve Pieczenik, che lavorò agli ordini dei segretari di stato Henry Kissinger, Cyrus Vance e James Baker. L’uomo raccontò alla stampa americana di aver partecipato al sabotaggio dei negoziati con le Br, affermando come l’idea fosse di “sacrificare Aldo Moro per il mantenimento della stabilità politica in Italia”.
Francesco Cossiga alla tv francese nel 2008: “Linea dura, a costo di sacrificare Moro”
In un libro pubblicato dallo stesso Pieczenik (intitolato “Abbiamo ucciso Aldo Moro”), l’ex funzionario afferma di essere stato inviato dall’allora presidente Jimmy Carter a far parte di un “comitato di crisi” capeggiato dal ministro Cossiga. Secondo Pieczenik, il timore era legato alla possibilità che Moro rivelasse ai terroristi alcuni segreti di stato.
Così, fu fabbricato un comunicato fasullo, attribuito alle Brigate rosse, nel quale si affermava che Moro era stato già ucciso. Ciò con il duplice obiettivo di preparare l’opinione pubblica al peggio e di far capire ai terroristi che lo stato non avrebbe mai trattato: per il governo, Moro era già morto.
Nel 2008, la televisione francese France 5 mandò in onda un documentario firmato dal giornalista Emmanuel Amara. Nel film compare anche Cossiga, su un divano, di fronte ad un televisore che mostra Pieczenik mentre rivela la sua versione dei fatti. Fatti che Cossiga conferma: “Si doveva evitare ad ogni costo una trattativa. Anche se il prezzo da pagare fosse stato il sacrificio di Moro”.
(Fonte Lifegate)