Per affrontare i castratofici rischi che a cui andiamo incontro, è necessaria una massiccia mobilitazione globale paragonabile alla Seconda Guerra Mondiale. Presto l’umanità dovrà scegliere, accettando di vivere una profonda crisi
(Green Report) Paul Gilding, dell’University of Cambridge Institute for Sustainability Leadership e senior advisor di Breakthrough, il National Centre for Climate Restoration dell’Australia, solleva un problema che riguarda scienziati, decisori politici e comunicatori: «Le persone impegnate nel dibattito sul clima sono spesso disorientate dalla mancanza di risposta da parte della società. Come possiamo ignorare la prova così schiacciante di una minaccia esistenziale alla stabilità sociale ed economica?» La risposta è abbastanza sconsolante: «Data la storia umana, non dovremmo mai aspettarci altro. Gli esseri umani hanno una tendenza costante: quando il cambiamento è scomodo ritardiamo ad agire finché una minaccia non diventa una crisi. La portata della minaccia o l’esistenza di forti prove fanno poca differenza. Esistono innumerevoli esempi: problemi di salute personale, il declino di un’azienda di successo o rischi finanziari e del credito globali».
Ma Gilding è convinto che «storicamente la Seconda Guerra Mondiale rimane la migliore analogia».
Lo scienziato ricorda che «le prove della minaccia rappresentata da Hitler erano schiaccianti e il caso per intraprendere un’azione era chiarissimo. Tuttavia, molti erano ancora fortemente contrari ad agire. Solo quando la minaccia divenne travolgente – fino a quando fu accettata come una crisi imminente – la Gran Bretagna si attivò. Quando avvenne, Winston Churchill guidò un cambiamento essenziale del pensiero, sostenendo che non importa quanto fosse scomodo, costoso o impegnativo per lo status quo, a volte basta fare ciò che è necessario. Non il massimo, o ciò che ti puoi permettere, o ciò che è “realistico”, ma ciò che è necessario. Nel suo caso, stava andando in guerra, presumendo che la vittoria fosse possibile. E così iniziò una delle più veloci e drammatiche mobilitazioni economiche e trasformazioni industriali della storia. Quindi, è stato ottenuto qualcosa che rasentava razionalmente l’impossibile».
Gilding pensa che «ci stiamo avvicinando a un punto in cui questo stesso ciclo si svilupperà sui cambiamenti climatici e arriveremo alla fase di azione trasformazionale».
Visto quel che è in gioco a livello globale, Gilding fa sorprendentemente l’esempio di quello che è successo al Consiglio della Local Government Area di Darebin, che amministra poco più di 130.000 abitanti a Melbourne in Australia, dove ha partecipato alla Climate Emercency Conference. Perché questa amministrazione delllo Stato del Victoria è un indicatore? Gilding fa notare che «Quando guardiamo indietro alla storia, come alla seconda guerra mondiale, tendiamo a semplificare la causa e l’effetto. Diciamo che è stata l’invasione della Polonia, l’arrivo di Churchill, ecc. che ha innescato il cambiamento. In realtà, i sistemi complessi come la società umana si muovono in modo distribuito, raggiungendo una massa critica o un punto di svolta in un momento difficile da prevedere e talvolta persino difficile da identificare in seguito».
Lo scienziato evidenzia che «Confrontando la Seconda Guerra Mondiale con i cambiamenti climatici, dovremmo innanzitutto riconoscere che, ancora una volta, il problema non è l’evidenza della minaccia. Questa è chiara e accettata, anzi, a ben vedere in futuro sarà vista come ovvia. Quello che è relativamente nuovo è che scienziati ed esperti riconoscono sempre più che per affrontare i rischi catastrofici che pone, è necessaria niente di meno che una massiccia mobilitazione globale a livello della Seconda Guerra Mondiale»
Recentemente, Hans Joachim Schellnhuber, che nel 1992 ha fondato il Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung(PIK) e che è uno dei consiglieri più ascoltati da Papa Francesco, la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’Unione europea hanno affermato che «Il cambiamento climatico sta arrivando alla fine dei giochi, nella quale molto presto l’umanità dovrà scegliere tra un’azione senza precedenti o accettare di farsi da parte, aspettare e sopportarne le conseguenze».
Gli esempi di quali possano essere queste conseguenze sono tutti intorno a noi e sono sempre più evidenti: la gente vede ogni giorno il cambiamento climatico al lavoro, sia che si tratti di giganteschi incendi boschivi nella Svezia settentrionale, della crisi dei rifugiati, dello scioglimento dei ghiacci e degli aeroporti che finiscono sott’acqua in Giappone, oppure delle gravi siccità che funestano l’Africa o la California o il caldo soffocante in Europa.
Gilding scrive: «Il mio argomento principale è che questo processo – minacce identificate, resistenza ed evitamento, prove sempre più forti, accettazione della crisi e quindi risposta drammatica – è praticamente come si svolgono sempre queste cose. E così sarà molto probabilmente per il cambiamento climatico.
Molti sostengono che abbiamo bisogno di un Churchill per guidarci, che solo un leader forte può prendere il potere in una crisi e mostrarci la via da seguire. O forse abbiamo bisogno di un clima alla “Pearl Harbor”: un grande evento unico. Questo non è il modo in cui i sistemi di solito cambiano, ma soprattutto non in un mondo globalizzato e connesso. Sì, abbiamo bisogno della leadership e di tutti i settori della società. Ma i “Churchill” emergono da un contesto e il cambiamento di contesto di cui abbiamo bisogno è accettare di avere una crisi. Essenzialmente, questa accettazione è un fenomeno sociale distribuito, non una questione tecnica di scienza o evidenza».
Questo riporta Gilding all’importanza di quel che succede a Darebin: «Questo consiglio locale ha guardato razionalmente a ciò che la scienza gli ha detto: che affrontiamo una crisi e l’unica risposta logica è dichiarare un’emergenza climatica. E così hanno fatto. Consultandosi con la loro comunità, poi hanno sviluppato il Darebin Climate Emercency Plan».
Perché è significativo quel che avviene in un municipio di Melbourne? «Perché – risponde ancora Gilding – questo è il modo in cui i sistemi cambiano. Le idee prendono piede e si diffondono. Da allora Darebin è stato seguito negli Stati Uniti con una piccola ma crescente lista di Enti elettivi nelle regioni e nelle città che hanno dichiarato anche loro l’emergenza climatica. Prima è arrivata la contea di Montgomery, nel Maryland, da quando si sono unite Richmond, Berkeley e Los Angeles in California, e Hoboken, nel New Jersey. Questo non sta emergendo spontaneamente, ma attraverso l’organizzazione attiva da parte di gruppi che si sono dedicati a questo compito, come The Climate Mobilization».
Insomma, la medicina per guarire il mondo è la militanza, la pazienza: «E’ frustrante che queste cose richiedono tempo. Quindi, sapere che possiamo ancora “vincere” è la chiave». Per questo, già 10 anni fa, Gilding scrisse insieme a Jorgen Randers della Norwegian School of Management il saggio “The One Degree War Plan“, pubblicato sul Journal of Global Responsibility, che dimostrava come mantenersi entro un grado di riscaldamento globale fosse «sorprendentemente realistico con una mobilitazione stile Seconda Guerra Mondiale». Recentemente sulla stessa linea, The Climate Mobilization ha sviluppato un “Victory Plan” per dimostrare come dovrebbe essere negli Usa una mobilitazione economica stile Seconda Guerra Mondiale.
Il Consiglio di Darebin – al quale recentemente si è aggiunto in Australia quello di Moreland che ha dichiarato l’emergenza climatica – ha invitato un gruppo di noti esperti nella periferia di Melbourne per discutere di cosa potrebbe significare un’emergenza climatica. Gilding è convinto che questa sia «una parte essenziale di un processo attraverso il quale normalizziamo prima l’idea che stiamo affrontando una crisi esistenziale. In seguito, arriveremo ad accettare che l’unica risposta razionale è una mobilitazione economica simile alla Seconda Guerra Mondiale per eliminare le emissioni globali di biossido di carbonio entro un decennio circa. Lo trovate difficile da immaginare? È. Ma come abbiamo imparato da Churchill nel 1940, quando spostiamo il nostro pensiero su “ciò che è necessario”, quel che possiamo ottenere è piuttosto straordinario. O come ha detto Nelson Mandela: “Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto».