Si svolgerà giovedì 17 giugno alle ore 15, in piazza Montecitorio, la manifestazione “Sui bambini non si PASsa”, promossa da CGIL – Ufficio Politiche di Genere, il Comitato “La PAS non esiste, ma il fatto sussiste” e UIL – Centro di ascolto Mobbing e Stalking contro tutte le violenze e coordinamento Politiche di Genere, per chiedere l’immediata sospensione dei procedimenti di allontanamento di minori che si rifanno al censurato costrutto dell’alienazione parentale. Le promotrici presenteranno un manifesto in sette punti per rimettere al centro l’ascolto dei minori. Alla manifestazione aderiscono: Articolo Uno, Casa delle Donne di Roma, Comitato Madri Unite Contro La Violenza Istituzionale, Differenza Donna Onlus, DirRe – Donne in rete contro la violenza, DonnexDiritti Network, Maison Antigone, Padri in Movimento; Rete dei Telefoni Rosa.
Interverranno: Anarkikka (autrice), Susanna Camusso (CGIL), Luisa Betti Dakli, (giornalista, DonnexDiritti), Elisa Ercoli (Presidente, Differenza Donna), Chiara Franceschini (attivista, Lucha Y Siesta – DiRe), Andrea Mazzeo (medico psichiatra), Michela Nacca (avvocata, Maison Antigone), Jakub Stanislaw Golebiewski (Presidente, Padri in Movimento), Giulia Vescia (avvocata, Lucha Y Siesta – DiRe), Ivana Veronese (UIL), Antonio Voltaggio (avvocato). Saranno presenti anche autorevoli rappresentanti del Parlamento.
Tra i casi di cronaca, l’emblematica storia di Laura Massaro, ancora sottoposta a procedimento presso il Tribunale per i minori di Roma con decreto di allontanamento del figlio undicenne e decadenza dalla responsabilità genitoriale; a Perugia un bambino di soli otto anni è stato appena portato via dalla madre; a Pisa un altro bambino sta rischiando di essere sradicato dal suo ambiente e allontanato dalla madre in seguito all’improvviso rifiuto del ragazzo a vedere il padre, rifiuto di cui però non sono state indagate le ragioni. Una deriva preoccupante in corso già da molti anni, come dimostrano i casi di Michela, nota come “la mamma di Baressa”, a cui venne sottratta la figlia di tre anni, Ginevra, a cui fu sottratta la figlia di soli 18 mesi, figlia che non poté più né rivedere né sentire, e quello di Antonella, considerata madre alienante, il cui figlio, costretto a vedere il padre, venne da lui ucciso in un incontro protetto. Come loro tante, tante altre.
“È necessario prendere coscienza che siamo in presenza di un fenomeno” dichiarano le promotrici “Nei tribunali ordinari e minorili, complice il proliferare di esose consulenze tecniche di ufficio che sposano il censurato costrutto dell’alienazione parentale, si dà ormai per assunto che quando un bambino, dopo la separazione, rifiuta la relazione con uno dei due genitori, la responsabilità è sempre dell’altro che ne ha condizionato il sentire. La prassi prevede che un’ordinanza del giudice obblighi il minore ad accettare il genitore che rifiuta, spesso senza indagarne le ragioni, arrivando anche a togliere l’affidamento del minore al genitore “alienante” (tipicamente la madre) per darlo al genitore “alienato” (tipicamente il padre), direttamente o con trasferimento in casa-famiglia. Un metodo che viola il diritto umano di ogni bambino al rispetto e alla tutela del proprio benessere psicofisico, oltre a far precipitare donne e minori in un calvario giudiziario ed economico senza fine, e a fornire uno strumento collaudato alla difesa di comportamenti abusanti o violenti. Non è un caso, infatti, che sempre più spesso a denunce per violenza domestica corrispondano in sede civile denunce per alienazione parentale”, concludono.
L’alienazione parentale, declinata anche in sindrome della madre malevola, madre simbiotica, madre fusionale o conflitto di lealtà, è erede di quella Parental Alienation Syndrome (PAS) inventata dal controverso medico americano Richard Gardner nel 1985. Sopravvissuta al suo teorico, morto suicida, nel corso degli anni la PAS è stata censurata sia dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali sia dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, e in Italia a più riprese anche dalla Corte di Cassazione che qualche settimana fa l’ha definita una pratica nazista (“tätertyp”). Nonostante ciò, ha attecchito e continua a essere praticata nei tribunali come modalità di risoluzione degli affidi in cui vi è conflitto o violenza (spesso ridotta a conflitto).
In un manifesto in sette punti si chiede pertanto: 1) l’immediata applicazione della Convenzione di Istanbul che è vigente e ha valore costituzionale; 2) la limitazione delle Consulenze Tecniche di Ufficio (CTU), e il dovere del Giudice di valutare l’idoneità genitoriale applicando le norme costituzionali che proteggono i minori dalla violenza, comprendendo adeguatamente il senso degli atteggiamenti protettivi materni; 3) il divieto da parte dei giudici di emettere decreti di sospensione della responsabilità genitoriale o decadenza o allontanamento del minore dal suo ambiente familiare sulla base di costrutti non riconosciuti dalla scienza; 4) l’obbligo per il giudice di garantire sempre un giusto processo senza rifarsi a costrutti ascientifici come l’alienazione parentale che non comportano l’onere della prova 5) il rispetto da parte del giudice dell’obbligo di ascolto del minore; 6) il divieto assoluto di prelievi forzosi di allontanamento dalla famiglia di un minore, salvo nei casi previsti dall’art. 403 c.c.; 7) il divieto di insegnamento nei corsi universitari di costrutti non validati dalla scienza.