I conti nella mente dell’inquilino di Palazzo Chigi sono presto fatti: nessuno al momento vuole le urne. E così Conte matura il convincimento di essere davvero baciato dalla fortuna e dalle congiunzioni astrali. E siccome dopo il pensiero arriva l’azione, ecco scendere nell’arena il prode Rocco Casalino nei panni che più gli si addicono, quelli del cantore. Il primo a cadere nella rete dello schema del novello marchese del Grillo è Nicola Zingaretti, il quale abbocca subito all’amo e avverte l’eterogenea coalizione con un «se andiamo alle urne il nostro candidato è Conte». Poi tocca ai media: due telefonate di Casalino sull’asse Roma-Milano. Una a Marco Travaglio, l’altra a Massimo Franco, il notista politico di via Solferino.
Ma sono le parole scandite in faccia allo stato maggiore di Luigi Di Maio a rendere buffa farsa e allucinata realtà la convinzione di Conte. Dice Casalino: «Dobbiamo essere chiari, il professore è il leader di un nuovo progetto politico: come Romano Prodi, anzi meglio di Prodi. Intorno a lui ci sono grandi consensi perché va oltre questa maggioranza. È un uomo di Stato: salva tutti ma non si dimentica dei torti. Appoggiarlo è un dovere. E quando sarà il momento, sarà lui l’uomo giusto per il Quirinale».
Da qui la reazione di Di Maio, di pancia, in slang campano, «ma questo vero fà?». Traduzione: «Ma davvero Casalino pensa questo?». La ricostruzione non piacerà a Casalino, il quale già un mese fa ha smentito con cortesia un articolo de Linkiesta che segnalava qualche frizione di troppo tra lui e il capo politico dei Cinque stelle. Registriamo doverosamente la sua versione, ma a noi continua a risultarcene un’altra.
In questa commedia in cui nessuno vuole fare il lavoro richiesto dal ruolo che ricopre, in questa recita in cui tutti aspirano al salto di grado dobbiamo fissare un paletto, quella della realtà: «Se non ci fosse Salvini, Conte sarebbe ritornato al suo ruolo di modesto professore universitario». Così la raccontano quelli del Pd che ad agosto stavano già preparando i santini elettorali. L’ambizione di Conte racconta anche una prospettiva di declino per l’intero Movimento Cinque stelle. Di Maio è sulla graticola da tempo, ma Conte e la sua corte non possono permettersi fughe in avanti, non possono fare una scissione. La domanda quindi è: fin dove è disposto a spingersi, Conte, per mantenere il suo status?
Quanti accordi, quante lacerazioni, quanti sì e quali no dovrà dire per mantenere in piedi quest’accordo labile, strano, frammentato eppure forte e teso che lo ha fatto diventare l’unicum della Repubblica: un presidente del Consigli che rimane tale con due maggioranze di segno opposto?
Proviamo a contarli. Fino a quando c’è Matteo Salvini, Conte è al sicuro. Se la destra virasse al centro il suo peso specifico verrebbe meno.
Fino a quando Di Maio non troverà il modo di evitare che Conte gli scippi il consenso dei gruppi parlamentari del Movimento è altrettanto al sicuro.
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