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Una volta l’obiettivo era la secessione della Padania, adesso è Salvini premier. Una volta c’era un capo che federava le spinte autonomiste del Nord, adesso c’è un “capitano” che veleggia alla conquista del Sud. Il congresso straordinario della Lega a Milano ha sancito la nascita del partito personale, più ancora che del partito nazionale e sovranista. Perché è Matteo Salvini l’unico amalgama tra il passato e il futuro.
Vecchia e nuova guardia
La divisione tra vecchia e nuova guardia all’Hotel Da Vinci è plastica: davanti in sala ci sono i nordisti duri e puri, come l’ex europarlamentare Mario Borghezio e il «secessionista mai pentito» Francesco Speroni. In fondo siedono i nuovi leghisti, dal campano Gianluca Cantalamessa al siciliano Alessandro Pagano: ex azzurri, ex alfaniani, ex fittiani. Le distanze sono siderali, non solo geografiche.
Il “volo” dal 4 al 34%
Non che la mutazione sia una novità. Il 46enne Salvini, iscritto alla Lega Nord dal 1990, segretario federale da fine 2013, è il leader che l’ha portata dal 4% delle elezioni di sei anni fa al 17% del 2018, fino al 34% delle europee dello scorso maggio. E alla vittoria di un candidato leghista in regioni impensabili, come la Sardegna e l’Umbria. È stato lui stesso a ricordare che con il 30% accreditato nei sondaggi «non si può più ragionare come se avessimo il 3%. Serve un movimento snello, orgoglioso delle sue radici ma che guardi avanti, perché chi vive di solo passato è morto».
Il “brand” Salvini
Il “partito di Salvini” può certamente contare sulla sponda di esponenti storici e autorevoli, come Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli. Sua la dichiarazione più franca davanti ai delegati: «La Lega è diventata nazionale, lo dico rispetto a chi ha nostalgia della Lega Nord che in Italia due terzi dell’elettorato è al Centro e al Sud, quindi se vogliamo cambiare le cose dobbiamo prendere i voti anche di quella parte del Paese». Come? Con Salvini: è lui il brand che si è rivelato vincente, quello capace di far dimenticare decenni di insulti razzisti ai meridionali intercettando paure più grandi, in primis quella di un’immigrazione non governata.
Il rischio della personalizzazione
Salvini che incarna l’«uomo forte» invocato dagli italiani secondo il Censis, Salvini che fa bagni di folla nelle piazze, Salvini a cui si perdona tutto, dalla crisi di Governo in pieno agosto ai metodi di propaganda poco ortodossi della “Bestia”. Tutto, finché vince. L’altra faccia della medaglia, infatti, la conoscono bene Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Anche loro a capo di partiti personali, hanno già assaggiato il rischio che i partiti personali portano con sé: se cade il leader, crolla tutto. È il motivo per cui Salvini ha fretta di arrivare a Palazzo Chigi. E quello per cui teme Giorgia Meloni, l’unica che al Sud può sottrarre voti alla Lega.
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