L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria autoimmune, cronica, altamente invalidante e a carattere sistemico. Tra i sintomi più frequenti ci sono: rigidità mattutina prolungata, dolore, tumefazione articolare e deformità articolari tali da poter comportare la progressiva perdita delle capacità funzionali, compromettendo la qualità della vita del paziente in tutti gli ambiti. In Italia, circa l’1% della popolazione è affetta da artrite reumatoide, una malattia reumatica che colpisce 1 persona ogni 250 abitanti, per un totale di circa 400 mila persone malate nel nostro paese.
L’arma per contrastare quanto prima i sintomi dell’artrite reumatoide è la diagnosi precoce e il tempestivo inizio del percorso di cura. Ma a che punto siamo con le cure? «Quest’anno c’è stata l’approvazione di due nuove molecole anti jak per l’artrite reumatoide, upadacitinib e filgotinib, andando così ad ampliare la famiglia dei farmaci per somministrazione orale. Non dobbiamo, però, dimenticare che il trattamento per l’artrite reumatoide non è solo farmacologico, ma deve prevedere anche un approccio da parte delle altre figure professionali che ruotano intorno al paziente. A partire dal medico di base, che deve essere informato tempestivamente sulla terapia e gli effetti collaterali, per far sì che possa tenere sotto controllo la compliance terapeutica del proprio paziente, fino ad arrivare al campo della riabilitazione fisica e psicologica. Solo così, si potrà raggiungere un vero approccio globale al paziente», dichiara la Dottoressa Gilda Sandri, reumatologa presso il Policlinico di Modena ed ex Vicepresidente CReI.
Quanto influisce la spesa nella scelta terapeutica? «È finito il tempo in cui era importantissimo osservare il prezzo dei farmaci biosimilari, rispetto agli originator. Oggi, i costi sono vicini e la scelta sulla terapia da intraprendere si basa sulle esigenze del paziente: i biosimilari hanno raggiunto il 35% del totale e crescono del 5% all’anno – dichiara il Dottor Davide Croce, Direttore del Centro di Ricerca di economia e management in Sanità nel Sociale, Università Carlo Cattaneo (LIUC). L’artrite reumatoide è una malattia cronica altamente invalidante, se non trattata per tempo. L’obiettivo, dunque, è quello di intercettare la patologia nella sua fase iniziale e intraprendere subito una terapia in grado di mettere il paziente nelle migliori condizioni possibili. Quando parliamo di costi nella scelta terapeutica, è giusto prendere in considerazione tre punti cardine: l’accettabilità di un farmaco, cioè il suo rapporto costo/efficacia, la sostenibilità, cioè il suo costo complessivo per tutti i pazienti trattati e la possibilità di poterlo sostenere, e il monitoraggio della spesa, considerando che parliamo di pazienti cronici con un trattamento perenne. Se, la metodologia iniziale per la scelta di una terapia si basava sul rapporto costo/efficacia di un farmaco, ora che, grazie all’introduzione dei biosimilari ci troviamo di fronte a un allineamento dei costi degli originator, la scelta è in funzione delle esigenze e del paziente. In alcune Regioni come Piemonte, Sardegna o Toscana ma anche nelle province autonome di Trento e Bolzano alcune terapie per la artrite reumatoide mostrano che i biosimilari raggiungono percentuali superiori al 90% e l’originator tende a scomparire».
«Dal 2001 a oggi, il tetto di spesa ospedaliera è aumentato, passando dallo 0 al 7,85%. La spesa ospedaliera è esplosa rispetto al passato. La targhettizzazione con popolazioni più piccole, esprimono di fatto un prezzo unitario più elevato, ed ecco qui che si arriva a questa conseguenza. Per quanto riguarda la spesa territoriale, ci aggiriamo intorno ai 9,9 miliardi euro nel 2019, secondo quanto riportato dai dati del Ministero Economie e Finanza. La spesa farmaceutica, dunque, viene scaricata totalmente sulle famiglie registrate con tessera sanitaria. I cittadini registrati con codice fiscale hanno portato alla spesa di 35 miliardi di euro», conclude il Dottor Davide Croce.
Se originator e i farmaci biosimilari hanno gli stessi costi, cosa possiamo dire sugli effetti collaterali delle due tipologie di farmaci? Sono gli stessi? «In passato, il profilo beneficio-rischio dei biosimilari è stato spesso messo in discussione a causa della quantità limitata di informazioni pre-marketing sull’efficacia e la sicurezza clinica, nonostante la biosimilarità si basi su un esercizio di comparabilità che assicura, attraverso studi preclinici e clinici di fase I e III, un confronto tra il biosimilare e il rispettivo originatore in termini di qualità, sicurezza ed efficacia. Per ottenere l’approvazione, il prodotto biosimilare proposto deve produrre lo stesso risultato clinico dell’originatore e il passaggio non deve aumentare i rischi per la sicurezza o diminuire l’efficacia rispetto al prodotto di riferimento. Oggi un’ulteriore rassicurazione arriva dai dati degli studi post-marketing che dopo oltre 10 anni di commercializzazione del primo biosimilare in Europa, non riportano alcuna prova di differenze in termini di profilo di sicurezza dei biosimilari e degli originatori. Da qui, le raccomandazioni ACR e dell’EULAR che definiscono il passaggio tra originator e biosimilare sicuro ed efficace. Ma se lo switch da un originator al biosimilare o viceversa è sicuro, un problema emergente tra gli operatori sanitari è quello dello switch multiplo. Ad oggi, la maggior parte della ricerca condotta sugli scambi terapeutici che coinvolgono i biosimilari si è concentrata sulla sicurezza, l’efficacia e l’immunogenicità di una gamma piuttosto ristretta di scenari di switch ma poiché il mercato dei biosimilari continua ad espandersi e il numero di prodotti biosimilari per ogni prodotto biologico di riferimento approvato aumenta, si prevede che anche la probabilità che i pazienti debbano passare da un biosimilare a un altro (cross-switch), per qualsiasi motivo medico o non medico, aumenterà. Fino ad oggi gli studi inerenti questo problema sono ancora limitati anche se complessivamente vengono riportati dati incoraggianti in termini di sicurezza, efficacia e immunogenicità. Quello che mi preme rimarcare è che la decisione terapeutica è un atto medico e che tale scelta deve essere sempre condivisa tra medico e paziente, nessuno switch dovrebbe essere fatto senza il consenso medico e quello informato del paziente», sostiene la Dott.ssa Daniela Marotto Presidente CReI. «Non ci sono dubbi che i biotecnologici abbiano rivoluzionato la terapia e la prognosi delle malattie reumatologiche. Ma un progresso diviene tale solo se, parafrasando Henry Ford, “i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie diventano accessibili a tutti”. I biosimilari hanno rappresentato un progresso in tal senso fornendo un’opportunità per espandere a più pazienti l’accesso ai farmaci biotecnologici, aumentando il numero di scelte di trattamento disponibili e aiutando al tempo stesso a controllare la spesa farmaceutica».