Mele, pere, prugne e kiwi; ma anche noci, pistacchi e arachidi; fagioli, ceci, lenticchie; carote, melanzane, carciofi; cereali e addirittura il cioccolato fondente: sono tutti alimenti ricchi di fibre in grado di “nutrire” il nostro microbioma – l’insieme dei microrganismi che ognuno di noi ospita nel proprio intestino – e di conseguenza possono aumentare l’efficacia dell’immunoterapia. Sono infatti sempre più numerose le evidenze scientifiche secondo le quali quello che mettiamo in tavola può influire in modo significativo sulla risposta dell’organismo ai trattamenti antitumorali, compresa l’immunoterapia. In particolare, numerosi studi in corso in tutto il mondo mostrano un legame tra una dieta ricca di fibre e una maggiore efficacia dell’immunoterapia. Entro il prossimo anno, è in programma al San Raffaele di Milano un nuovo trial clinico che prevede la somministrazione di una dieta controllata ricca di fibre nei pazienti con mieloma indolente. Sono inoltre in corso ricerche sui trapianti fecali e studi che hanno come obiettivo quello di confermare i potenti effetti che gli acidi grassi esercitano sulla risposta immunitaria contro i tumori. A fare il punto sulle ultime novità sulla immunoterapia dei tumori e su come questa possa essere modulata dal microbioma intestinale sono oltre mille scienziati arrivati da oltre 38 nazioni del mondo al CICON23 International Cancer Immunotherapy Conference (cancerimmunotherapyconference
“L’immunoterapia ha rivoluzionato la cura di molti tumori – spiega Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità di Bioterapia dei Tumori presso l’istituto Europeo di Oncologia e presidente del Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori (NIBIT, nibit.org) -. Tuttavia
Ancora più sorprendente l’ipotesi, basata su recenti evidenze scientifiche, che somministrare ai pazienti una dieta ricca di fibre potrebbe aumentare le probabilità che il trattamento contro il cancro sia più efficace. “Che il microbioma sia una parte cruciale del nostro sistema immunitario lo sappiamo ormai da tempo – aggiunge Vincenzo Bronte, direttore scientifico dell’Istituto Oncologico Veneto e next-president di NIBIT -. Secondo alcune stime, oltre il 60% delle cellule immunitarie del nostro corpo risiedono nell’intestino. Ma solo di recente abbiamo accumulato sufficienti evidenze secondo le quali questi microbi possono essere ‘modificati’ per influenzare positivamente l’esito dei trattamenti contro il cancro, compresa l’immunoterapia”.
Alcuni gruppi di ricerca stanno cercando di superare la resistenza all’immunoterapia effettuando trapianti fecali: i microbi intestinali “buoni” vengono prelevati da campioni di feci di pazienti che hanno risposto bene ai farmaci per poi essere trapiantati tramite colonscopia a un altro paziente. Un’altra strada è quella di disegnare diete ad hoc, ricche di fibre, in grado di modificare il microbiota in modo da renderlo “alleato” dell’immunoterapia. “A questo proposito stiamo pianificando un trial clinico su pazienti affetti da mieloma indolente – afferma Matteo Bellone, responsabile dell’Unità di Immunologia Cellulare presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano , tra gli organizzatori di CICON23 -. Ai pazienti proporremo una dieta controllata ricca di fibre con l’obiettivo di comprenderne gli effetti, non solo sulla composizione del microbioma intestinale, ma anche sulle modificazioni metaboliche dell’organismo, sul decorso e sulla prognosi della malattia”.
L’evento di Milano sarà anche l’occasione di fare il punto su molti altri aspetti dell’immunoncologia, come l’immunometabolismo. “E’ infatti noto che tutte le cellule necessitano di energia per svolgere le loro funzioni vitali e che tale capacità è sotto il controllo di vie metaboliche” – spiega Antonio Sica, professore presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale e segretario di NIBIT -. “In questo scenario, recenti evidenze hanno dimostrato che i tumori attuano una competizione metabolica con le cellule immunitarie, deprivandole di nutrienti essenziali per la produzione di energia e instaurando così una condizione di immunosoppressione che favorisce la crescita tumorale e l’insorgenza di meccanismi di resistenza alle terapie”. Nuovi studi mirano quindi a comprendere i meccanismi che governano l’immunometabolismo dei pazienti al fine di ripristinare risposte immunitarie efficaci. In questo contesto, Teresa Manzo dell’Istituto Europeo di Oncologia, ad esempio, illustrerà i risultati di un recente lavoro pubblicato sulla rivista Cell Metabolism, nel quale si dimostrano i potenti effetti che gli acidi grassi esercitano sulla risposta immunitaria contro i tumori.
Ma c’è di mezzo anche il colesterolo. “Recenti studi dimostrano come l’alterato metabolismo del colesterolo e dei lipidi sia in grado di influenzare la funzionalità delle cellule immunitarie – afferma Vincenzo Russo, professore associato di Patologia Generale alla Facoltà di Medicina di Università Vita-Salute San Raffaele, tra gli organizzatori di CICON23 -. Con il prof. Paolo Ascierto, primario oncologo presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli, presenteremo dei risultati clinici sulla maggior efficacia dell’immunoterapia in combinazione con trattamenti bloccanti la sintesi del colesterolo”.
Al CICON23 prenderà parte anche Arlene Sharpe, scienziata della prestigiosa Università di Harvard, impegnata nello studio dei meccanismi che consentono al microbiota intestinale di influire sulla risposta immunitaria ai checkpoint immunitari. “Un’intera sessione sarà dedicata a come l’alimentazione influisca sul sistema immunitario e la capacità del paziente di rispondere, non solo alla immunoterapia, ma anche ai trattamenti più tradizionali come la chemioterapia – conclude Matteo Bellone -. Sappiamo infatti che alcuni alimenti espandono un microbiota sano che aiuta la risposta immunitaria contro i tumori. Certo è importante che l’alimentazione e l’utilizzo di probiotici siano suggeriti da esperti non solo di nutrizione ma anche della malattia in questione. Abbiamo purtroppo assistito a un peggioramento della malattia quando i pazienti non cercavano il parere dell’esperto. Dunque, sì all’alimentazione personalizzata, ma sotto controllo dell’oncologo di fiducia”.