di Laura Strano Responsabile Osservatorio Trasparenza AIDR
La vicenda, per certi versi inquietante, evidenzia le resistenze di una parte della pubblica amministrazione che ancora oppone un’assurda resistenza alla trasparenza considerandola un fastidio e non un servizio e il paradosso del cittadino costretto a doversi difendere persino in Tribunale per l’esercizio di un legittimo diritto che, come
si legge negli atti processuali, avrebbe provocato ansia, turbamento e stress nei funzionari pubblici.
I fatti: un Comune “stressato” dalle continue richieste di accesso agli atti di un cittadino denuncia quest’ultimo, ex art. 81 e 340 del codice penale, “per avere turbato mediante plurime richieste d’accesso agli atti amministrativi la regolarità dei servizi del Comune con continue e immotivate richieste di accesso gli atti così da impegnare totalmente dal luglio 2011 al 2014 i servizi tecnici e legali a copiare gli atti per rispondere ai quesiti posti dallo stesso”
A seguito della denuncia il giudice di primo grado nel 2018 condanna il cittadino ritenendo che lo stesso abbia bombardato di richieste gli uffici e che, nonostante la legittimità delle richieste di accesso, “abbia volontariamente provocato un turbamento nella regolarità dei servizi del Comune con richieste caratterizzate da anomala frequenza e intensità, spesso senza effettiva motivazione, così compiendo un “abuso” nell’esercizio del diritto pur riconosciuto dall’art. 22 legge n. 241 del 7 agosto 1990. “
La Corte d’Appello di Firenze nel 2019 assolve il poveretto evidenziando come le numerose richieste rappresentino un diritto e non un reato.
Ciò nonostante il Comune e i funzionari propongono ulteriore appello alla sentenza.
La Corte di Cassazione finalmente con la sentenza Num. 25296/2021 pone fine all’assurda vicenda, conferma la sentenza della Corte d’Appello, esclude nella fattispecie il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico e ricorda che la pubblica amministrazione dopo aver accertato la sussistenza di un motivato interesse alla richiesta di accesso o previsto dalla norma ha l’obbligo di adottare le misure organizzative idonee a garantire l’esercizio del diritto previsto dalla norma.
“Nessuna interruzione di un ufficio o pubblico servizio, anzi vale il principio secondo cui «l’esercizio di un diritto (…) esclude la punibilità» (art. 51, comma 1, cod. pen.).”
In conclusione l’attività della pubblica amministrazione è per definizione pubblica e la trasparenza dovrebbe essere non concessa, non osteggiata, ma favorita sempre. L’ufficio pubblico è la casa del cittadino e la disorganizzazione degli uffici pubblici non può essere una scusa per osteggiare il diritto alla trasparenza. E’ anche vero che la trasparenza “interna” dell’organizzazione amministrativa, con definizione di chiari ruoli e responsabilità e una chiara mappatura di processi e procedimenti favorisce l’erogazione di migliori servizi pubblici e la trasparenza ”esterna” per i cittadini.
Ma adesso chi risarcirà il cittadino per l’ansia , l’enorme stress e il turbamento subito dal Comune ?