Giunti in Italia dall’estremo Oriente, i cachi sono diventati ormai frutti simbolo della stagione autunnale, insieme alle castagne. In questo articolo pubblicato originariamente su Georgofili.info, Giovanni Ballarini parla delle proprietà nutrizionali e benefiche per la salute di questi frutti.
La prima descrizione botanica del cachi è pubblicata nel 1780, e il frutto arriva in America e in Europa alla metà dell’Ottocento, in Italia nel 1880 e nel 1888 Giuseppe Verdi scrive una lettera nella quale ringrazia chi gliene ha fatto dono. Adesso la produzione mondiale di cachi, che tende ad avvicinarsi ai cinque milioni di tonnellate, è per oltre la metà concentrata in Asia e soprattutto in Cina. In Italia, dove i cachi sembra siano stati prodotti con i primi impianti specializzati nel salernitano nel 1916, ora per il 90% sono coltivati in Emilia Romagna e in Campania su 2.782 ettari, per una produzione totale di 515.650 quintali (dati 2019), non dimenticando che negli anni Quaranta del secolo scorso gli ettari dedicati erano circa 15 mila. Le varietà più coltivate in Italia sono il Loto di Romagna, la Vaniglia della Campania, il Fuyu, la Kawabata, la Suruga, il Cioccolatino e cultivar con frutti gamici eduli alla raccolta (cachi-mela). In media i cachi forniscono circa 272 kJ (65 kcal) per 100 grammi e sono composti per l’80% circa di acqua, l’8% di zuccheri, lo 0,45% di proteine, 0,5% di grassi, una discreta quantità di vitamina C e del gruppo B, beta-carotene e potassio.
Frutta e verdura sono componenti importanti della dieta umana e svolgono un ruolo importante nel mantenimento della salute, principalmente per la presenza di molecole bioattive ampiamente riconosciute per i loro ruoli benefici. Molti vegetali e soprattutto frutti sono popolari come cibi portatori di salute e nei cachi negli ultimi due decenni la ricerca scientifica ha messo in evidenza la presenza e il ruolo di molecole bioattive come proantocianidina, carotenoidi, tannini, flavonoidi, antocianidina, catechina. In base a queste ricerche i cachi e i loro prodotti sono considerati efficaci nel mitigare il danno ossidativo indotto dalle molecole reattive dell’ossigeno (Ros) con un potenziale antiossidante ad azione anche anti-cancerogeno e con attività di contrasto a disturbi cardio-vascolari e diabete mellito in quanto la proantocianidina ha effetti sull’iperlipidemia e l’iperglicemia. Soprattutto oggi i cachi sono oggetto di ricerche che riguardano gli usi medicinali e farmacologici di Diospyros (il genere di piante a cui appartengono i cachi), anche per selezionare varietà con particolari, elevate attività nutraceutiche (*). I cachi sono quindi frutti che hanno tutte le caratteristiche per entrare a far parte di una dieta equilibrata ricca di attività nutraceutica.
Il cachi è considerato una specie sub tropicale e coltivato nelle regioni calde del mondo tra cui Cina, Corea, Giappone, Brasile, Turchia e Italia, anche se vi sono varietà che si sono adattate a climi diversi e che riescono a tollerare temperature invernali di vari gradi sotto lo zero, fino a -15 °C. I cachi sono coltivati in Italia da centocinquanta anni e non possono più essere considerati un frutto esotico, ma solo poco conosciuto e soprattutto sottoutilizzalo. I cachi nelle diverse specie e varietà sono anche adatti a superare cambiamenti climatici e le possibili avversità di un riscaldamento mondiale. In queste condizioni con le oltre quattrocento specie e varietà oggi note – tra queste soprattutto Diospyros kaki, Diospyros virginiana, Diospyros oleifera e Diospyros lotus – i cachi sembrano rappresentare un tipo di frutta di maggiore futura coltivazione in un’Italia semi-tropicalizzata.
FONTE: IL FATTO ALIMENTARE https://ilfattoalimentare.it/cachi-storia-proprieta.html