All’uscita degli ultimi Dpcm del 4 e dell’8 marzo, dove vengono indicate le misure igienico sanitarie da adottare da parte di tutti i cittadini italiani per la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e le misure urgenti di contenimento del contagio, tra cui “evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute e comunque evitare abbracci, strette di mano e contatti fisici diretti con ogni persona”, “mantenere in ogni contatto sociale una distanza interpersonale di almeno un metro” e “evitare ogni spostamento in entrata e in uscita” da alcune aree del Nord Italia, tra cui zone rosse, molti lamentano, criticano, deridono e denunciano la difficoltà a rispettare queste indicazioni ministeriali.
Ma l’intenzione con cui le autorità hanno chiesto uno sforzo a tutti, è quella di contenere il contagio e di non mettere gli ospedali e tutti i sanitari che vi lavorano, in situazioni che non potrebbero gestire se l’epidemia continua a diffondersi in modo esponenziale come sta facendo.Adottare le misure, quindi, è necessario. Da parte di tutti, per il benessere di tutti. Il Tavolo Tecnico ENPAP che si propone di divulgare le conoscenze psicologiche per la prevenzione dei rischi, in particolare quelli nei contesti lavorativi, si è soffermato a una prima riflessione su questo tema.
Quali sono le ragioni di chi crede che si stia esagerando con queste misure dato che “tanto tutti escono lo stesso, e allora perché non dovrei farlo anch’io”? «Passare dal mondo ordinario della propria quotidianità, ricca di copioni comportamentali e routine standard, a quello straordinario dell’emergenza, è difficile per chiunque. A maggior ragione se l’emergenza entra ‘direttamente in casa’ e nel cuore dei nostri rapporti sociali, dei comportamenti relazionali abitudinari. Che si cerchi una ‘protezione psicologica della normalità’ con una minimizzazione dei rischi è quanto di più spontaneo si possa fare in questa situazione» premette Felice Damiano Torricelli, Presidente ENPAP a capo del Tavolo Tecnico sulla Sicurezza.La situazione non va presa sotto gamba, senza fare allarmismi naturalmente.
«Di fronte a un rischio non visibile come quello che stiamo vivendo, i nostri meccanismi psicologici arcaici tendono a mettere in campo risposte difensive dell’equilibrio consolidato. Le risposte possono andare nella direzione della negazione del rischio, perché ritenuto non percepibile e/o controllabile, oppure una sottopercezione, una sottovalutazione della sua pericolosità. All’opposto, di fronte alla percezione del rischio, è possibile che si attivi una sovrareazione ed emerga l’angoscia, la paura di qualcosa che non si vede e che può essere dappertutto, con una reazione fight or flight, combatti o fuggi, che attiva comportamenti estremi di difficile gestione – di ritiro spaventato o di aggressione sconsiderata verso le presunte fonti del pericolo – con perdita di lucidità e razionalità».
Siamo di fronte a un nemico invisibile, difficile da combattere perché non lo si conosce. Ma lo siamo già da un po’. Senza polemiche, la razionalità tornerà ad avere la meglio? «C’è un altro fatto con cui fare i conti. I comportamenti a rischio, in questo caso, manifestano le loro conseguenze solo molti giorni dopo essere stati messi in atto, dai 6 ai 14 giorni circa.Nessuno di noi si sognerebbe di giocare con il fuoco, perché ciò che potrebbe succedere sarebbe visibile immediatamente: ci si può bruciare. Tutti conosciamo i danni del fumo, ma i danni di questa abitudine si manifestano in là con gli anni. Magari si continua a farlo, pur consci, ‘perché di qualcosa bisognerà pur morire’.
Ecco, è la mancata immediatezza delle conseguenze che tende ad abbassare la percezione del rischio che si sta correndo e porta a non mettere in atto comportamenti protettivi», spiega Luca Pezzullo, Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Veneto e membro del Tavolo Tecnico ENPAP. Il tema dell’adesione alle misure igienico sanitarie, di fronte a misure di prevenzione o quarantena, è ben noto in psicologia del rischio. «È legato sia alla percezione del rischio da parte dei cittadini che al modo in cui le Istituzioni si pongono nel comunicarlo alla popolazione.Ce lo hanno dimostrato esperienze su patologie come la SARS o la malaria, in vari paesi del mondo, individuando alcuni fattori che sono legati a una maggiore o minore messa in atto delle misure di precauzione».
Cosa può fare aumentare l’adesione a queste misure, volta a tutelare il bene comune? «Bisogna continuare a responsabilizzare, sia verso sé stessi che verso i propri cari. Serve una comunicazione da parte delle Istituzioni, percepite come affidabili, e che fornisca in modo chiaro e strutturato le indicazioni pratiche per la quotidianità. Servono comunicazioni coerenti e costantiche veicolano empowerment,ossia la possibilità e la capacità di proteggersi e proteggere gli altri con comportamenti chiari e semplici, comunicazioni visive che facciano toccare con mano ed esperire emotivamente, e non solo in modo astratto, le conseguenze dei comportamenti a rischio. Ci sono già alcuni video che mostrano cosa accade nelle terapie intensive, per esempio, e che permettono processi identificativi molto attivanti. Ma queste comunicazioni sono potenzialmente ansiogene e devono quindi essere immediatamente accompagnate da spiegazioni su come evitare il rischio», suggerisce Luca Pezzullo.
Come si possono tutelare i rapporti con le nostre buone abitudini e i nostri bisogni sociali, in questa situazione così particolare? Come non prendere troppa distanza dalla quotidianità a cui siamo abituati? «Va chiarito subito che non ci saranno problemi rispetto alla continuità dell’assistenza e del supporto riguardo ai beni di prima necessità. Questa è una delle preoccupazioni in momenti come questi. Avremo il supporto degli operatori sanitari, che stanno facendo un lavoro eccellente pur essendo sottoposti a una mole di stress elevatissimo. I rapporti sociali possono essere mantenuti grazie alle tecnologie, oggi possiamo dare prova di usarle ancora meglio. Possiamo usarle per fare videochiamate, per esempio, ci aiuterà a ridurre il senso di isolamento sociale, o vissuti depressivi, a contrastare la noia, l’ansia e l’angoscia».
Insomma, in attesa della normalità perduta, pur distanti abbiamo modi per stare vicini. La tecnologia ci aiuta ma l’aiuto più potente, di fronte allo stress del cambiamento delle nostre routine e dei limiti imposti, è la consapevolezza di star facendo qualcosa di fondamentale per il bene della collettività, oltre che nostro.