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L’Iran in crisi al voto, il racconto dell’inviato

Le signore tradizionaliste con il chador nero e quelle alla moda con i capelli biondi che escono dal foulard entrano nel negozio che vende arredi per la camera da letto. Guardano, chiedono i prezzi e poi escono. Il proprietario, Ahmed, di 34 anni, guarda sconsolato: “Dall’anno scorso – dice all’ANSA – stiamo vendendo il 40 per cento in meno. Se non si arriva ad un accordo con gli americani che ci liberi dalle sanzioni, non riusciremo ad andare avanti”. Come Ahmed la pensano in molti nel Bazar di Teheran, cuore pulsante dell’economia di un Iran che domani eleggerà l’ottavo presidente della Repubblica islamica.

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 Da quando nel 2018 l’allora presidente Usa Donald Trump è uscito dall’accordo sul nucleare di tre anni prima, reimponendo pesanti sanzioni all’Iran, la moneta nazionale, il rial, è crollata rispetto al dollaro e l’inflazione interna ha cominciato a galoppare senza freni. I prezzi dei generi alimentari di base rincarano quasi ogni settimana, e alla gente resta ben poco per il superfluo. A fare precipitare ulteriormente la situazione è stato il Covid, che ha colpito l’Iran più di ogni altro Paese mediorientale, facendo oltre 80.000 morti. I contagi giornalieri si mantengono ancora intorno ai 10.000. “La nuova presidenza Biden – dice Mohsen Fadavi, manager per Teheran di Habibian, uno dei più grandi produttori nazionali con base a Isfahan – ha riaperto il mercato americano alle esportazioni iraniane. Ma la pandemia impedisce ai grandi commercianti occidentali di venire a Teheran per rifornirsi. Ne abbiamo ben 15 in lista d’attesa, per quando saranno revocate le restrizioni. E sono scomparsi i turisti europei e americani, che erano ottimi acquirenti. Per adesso spediamo tappeti con i corrieri a clienti privati, in Europa e in America, aspettando che passi la bufera”.

Ma camminando nei vicoli coperti e tra i banchi all’aperto del Bazar, si ha l’impressione che la pandemia non faccia troppa paura. Nel giovedì mattina, che precede il giorno festivo del venerdì, la gente si accalca senza troppo rispetto del distanziamento, e qualcuno si avvicina anche pericolosamente senza mascherina. Tutti, comunque, sono più interessati a guardare i prezzi più che a discutere delle elezioni presidenziali, per le quali i sondaggi predicono un’astensione di circa il 60 per cento. “Io non voterò – annuncia Ahmed -. C’è troppa corruzione, e troppe sono le promesse non mantenute, da tutti i presidenti. La gente adesso pensa che votare o non votare non cambi nulla”. Un suo commesso interviene, dicendosi convinto che il risultato sia ormai deciso: “Che votiamo o no, il vincitore sarà comunque Raisi”.

Ebrahim Raisi, l’ultraconservatore capo dell’apparato giudiziario, è dato come il favorito da tutti i sondaggi, con circa il 60 per cento delle preferenze. Gli altri candidati dovrebbero spartirsi le briciole. Tra loro, l’ex comandante dei Pasdaran Mohsen Rezai e il governatore della Banca centrale Abdolnasser Hemmati, l’unico moderato rimasto in lizza dopo la falcidia delle candidature operata in tutti gli schieramenti dal Consiglio dei Guardiani, organo conservatore controllato dalla Guida suprema Ali Khamenei. F

ino a poche settimane fa Raisi era dato addirittura al 70 per cento, ma sembra che il consenso per lui sia diminuito dopo tre dibattiti televisivi in cui non si è mostrato particolarmente brillante. Ad ogni modo dovrebbe toccare a lui il compito di riprendere i negoziati indiretti in corso a Vienna per cercare di fare rientrare gli Usa nell’accordo sul nucleare. Per ultraconservatori, conservatori o riformisti, questo sembra l’obiettivo primario. E ciò sembra confermato dalle dichiarazioni fatte qualche settimana fa da Raisi di voler lavorare per la revoca delle sanzioni. In attesa degli eventi la gente continua a camminare nei meandri del Bazar, limitandosi per lo più a guardare e chiedere il prezzo per poi tirare dritto.

Fonte Ansa.it

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