di Calogero Centofanti
Nel 1968 gli studenti universitari intrapresero una convinta lotta tesa alla tutela dei loro diritti tra cui quello allo studio. Dopo imponenti proteste, sostenute non solo dalle masse studentesche ma anche da esponenti del mondo accademico, il riconoscimento del libero accesso a tutte le facoltà, indipendentemente dal tipo di diploma conseguito segnò una conquista di equità. Senza evocare nostalgiche polemiche, verso quanti hanno adottato cervellotici provvedimenti, si avvertì l’urgente necessità di disciplinare la scelta di qualche facoltà (vedi medicina) con l’introduzione di test di sbarramento giustificati, da una nefanda predizione, con la quale scongiurare la disoccupazione di una certa classe culturale.
Purtroppo a distanza di quasi mezzo secolo, la situazione di carenza dei camici bianchi, ha comportato di ricorrere all’ingaggio di professionisti provenienti dal Sud America o da altri paesi lontani. Dinnanzi a tale scelta, aggravata non solo dal massiccio pensionamento di migliaia di dottori, ma anche dall’assalto proditorio di manifestazioni pandemiche, affiora l’inderogabile esigenza di coprire i colossali vuoti in organico sia nei distretti sanitari quanto nelle aziende ospedaliere con una nuova linfa che per essere rilanciata ha bisogno che sia eliminato lo sbarramento, ritenuto da certi pronunciamenti emessi da organi giurisdizionali limitativi della volontà soggettiva di partecipare alla salvaguardia della salute pubblica. Qualora ci fosse ancora qualche forma di pregiudizio nei confronti di giovani, che ritengono confacente con la loro passione coronare questo sogno, bisogna dire che sarà il tempo a stabilire se uno è bravo o meno bravo, se uno è capace o meno, in fondo la civiltà del rispetto, si afferma nello slancio per aiutare e assistere tutti coloro che bisognosi di attenzione si rivolgono ai seguaci di Ippocrate e Esculapio.