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Conte e la ricerca di alleati per scongiurare la procedura d’infrazione

Le nuove stime sull’andamento dei conti pubblici, che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si appresta a presentare al Consiglio europeo d’intesa con il ministro dell’Economia Giovanni Tria (e soprattutto con l’avallo del Quirinale) possono oggettivamente costituire un primo passo per evitare, o quanto meno indurre a ritardare, il giudizio atteso nel Consiglio Ecofin del 9 luglio. Ma per scongiurare l’avvio di una procedura d’infrazione che imporrebbe un faticoso percorso di rientro almeno triennale, occorrerà dell’altro. E qui entra in gioco la capacità negoziale del presidente del Consiglio. Già perché il vero interrogativo è su quali e quanti alleati l’Italia potrà contare.

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Da questo punto di vista, la partita in corso è tutta politica e si intreccia con le grandi manovre in corso tra le capitali europee in vista delle prossime nomine ai vertici delle istituzioni che governano l’Unione europea, con annessa la designazione del successore di Mario Draghi alla guida della Bce.

Il puzzle è complesso, come di prassi le trattative saranno faticose e senza esclusione di colpi di scena ma alla fine si troverà un compromesso. Per una volta la congiuntura politica europea potrebbe giocare a favore del nostro paese, e non solo e non tanto per la designazione del commissario europeo che comunque il governo proverà a rivendicare in sede di trattativa, quanto perché potrebbe essere proprio il rituale gioco dei veti incrociati tra Parigi e Berlino a far sì che lo spazio negoziale si allarghi.

Conte ha colto nel suo recente bilaterale con Emmanuel Macron a Malta una certa apertura da parte del presidente francese alle controdeduzioni che il governo si appresta a definire per evitare la procedura d’infrazione, in cambio il governo dovrebbe garantire il suo sostegno al piano che lo stesso Macron sta definendo. E che si tradurrebbe nella designazione di Angela Merkel alla presidenza della Commissione europea. Se il primo tassello andasse in questa direzione, sarebbe complicato per la Merkel rivendicare anche la presidenza della Bce per il candidato prescelto, vale a dire il numero uno della Bundesbank Jens Weidmann. Anche Angela Merkel potrebbe aver bisogno della sponda italiana quando si arriverà alla stretta finale sulla scelta delle poltrone che contano in Europa.

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Non è detto che la doppia sponda produca i risultati attesi, ma uno spazio sembra aprirsi. Certo, per evitare che la Commissione attualmente in carica si avvii a concludere il suo mandato con una decisione (l’eventuale sospensione della procedura d’infrazione a carico dell’Italia) che possa suonare agli occhi dei paesi rigoristi del nord come l’Olanda (ma anche dei cosiddetti sovranisti) coma una resa che infranga il mantra «le regole possono essere interpretate ma vanno rispettate da tutti», si dovrà confezionare un compromesso che poggi su solide fondamenta.

E qui la palla torna nel campo del governo, perché questa volta non bastano impegni generici. L’idea di presentare, cifre alla mano, un quadro aggiornato dei principali aggregati di finanza pubblica, da cui possa emergere una minore spesa nel 2019 per reddito di cittadinanza e quota 100 compresa tra i 3 e i 4 miliardi, può forse bastare per ricondurre il deficit 2019 verso quota 2%, ma non è certo sufficiente a rassicurare i partner europei e i mercati su quel che va predisponendosi per la prossima manovra. Certo un conto sono le dichiarazioni (dirette a fini mediatici e di consenso) un conto è la realtà.

E dunque Conte dovrà al tempo stesso assumere un impegno politico cogente in sede di trattativa con Bruxelles e con i partner europei, che si riassume in questa formula: gradualità nell’attuazione del piano di riduzione delle tasse, nessun finanziamento in deficit della prossima manovra di bilancio, debito pubblico in discesa anche grazie a un nuovo e più credibile piano di dismissioni oltre che al sostegno del denominatore vale a dire la crescita. E sarà altresì fondamentale assicurare che l’avanzo primario si attesti da qui ai prossimi tre anni su valori più sostenuti rispetto a quelli indicati nel Documento di economia e finanza (il 2% del Pil verrebbe raggiunto solo nel 2022).

Se questo insieme di impegni, dati aggiornati e intensa trattativa politica andrà a buon fine, si potrà immaginare un rinvio all’autunno della decisione sulla procedura d’infrazione attesa per il prossimo 9 luglio. Ma come ben si può comprendere, è una sorta di slalom con diverse incognite.

La prima delle quali non riguarda l’Europa ma il nostro paese: il presidente del Consiglio parla a nome dell’intero governo? In fondo è questo il retropensiero, per nulla recondito, che aleggia a Bruxelles. Come si conciliano le ipotesi di “cura trumpiana” in deficit avanzata da Matteo Salvini per non parlare dell’improvvida ipotesi dei mini-Bot, con gli impegni che il presidente del Consiglio si appresta a fornire? Basta poco a far precipitare la trattativa verso la sua inevitabile (e poco auspicabile) conclusione: procedura di infrazione che sancirebbe l’isolamento del nostro paese. Lo spazio negoziale esiste, e in fondo non è nell’interesse delle capitali europee che contano inserire in questo momento l’Italia, la terza economia del Continente, nel girone dei sorvegliati speciali. Per questo il negoziato va condotto con prudenza e notevole abilità diplomatica.

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