«Le proteste dei trattori hanno perso la foga iniziale. Riaffiorano qua e là, dando l’idea di essere generate ad hoc, ma i problemi veri, quelli che hanno radici profonde, restano. La risposta non è nelle soluzioni proposte dalla politica italiana e dall’Europa, entrambe funzionali alle prossime elezioni più che al futuro dell’agricoltura – afferma Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia -. Il tema è complesso, ma un dato è certo: l’abolizione delle limitazioni sull’uso dei pesticidi e dell’obbligo di lasciare una piccola parte dei terreni a riposo non sono la strada giusta. Serve una strategia complessiva, che prenda in considerazione tutti gli aspetti relativi alla produzione di cibo: la situazione economica e sociale della maggioranza dei contadini (di piccole e medie dimensioni), la fertilità del suolo, la salubrità dell’acqua e dell’aria, la salute dei consumatori e la crisi climatica. Il nemico non è il Green Deal, ma una politica miope che finanzia gli agricoltori sulla base della quantità di ettari coltivati, sostenendo un modello intensivo che compromette il suolo e non sopravvive senza sovvenzioni pubbliche».
Un’altra agricoltura è possibile, e lo testimoniano moltissimi contadini che in ogni parte della nostra penisola, soprattutto nelle aree interne, producono cibi che rappresentano il loro territorio nel rispetto della terra, dell’ecosistema e della nostra salute. Contadini che magari non possono scendere in piazza per protestare, perché i campi e gli animali hanno bisogno di cure quotidiane e nelle aziende di piccole dimensioni e a conduzione familiare difficilmente si possono affidare ad altri, ma che non per questo non manifestano il loro pensiero. Slow Food Italia vuole dare voce a loro.
Perché chi fa il biologico deve pagare le certificazioni e chi usa la chimica no?
«All’Europa chiederei la messa al bando dei pesticidi – dice Giuseppe Salieri, contadino nell’appennino Tosco Romagnolo, a San Godenzo (Fi) -, perché certe decisioni bisogna prenderle e siamo già in ritardo. Si potrà dire di aver vinto una piccola battaglia in agricoltura quando il cibo biologico avrà lo stesso prezzo del cibo non biologico. Il biologico deve essere per tutti, perché tutti abbiamo diritto a un cibo buono e sano. I pesticidi e i concimi di sintesi non hanno più senso di esistere, lo sappiamo tutti che impoveriscono il terreno e fanno male: non c’è bisogno di regolamentarli, non dobbiamo più usarli. L’agricoltura va avanti lo stesso: è andata avanti per millenni. Ora abbiamo anche tecnologia e scienza che ci possono aiutare. Perché chi fa il biologico deve dimostrarlo pagando enti certificatori, mentre chi usa la chimica non ha vincoli? Noi usiamo il nostro letame, facciamo le rotazioni, ci autoproduciamo il più possibile i semi: noi cerchiamo la qualità e la purezza e non la quantità».
Il prezzo minimo deve essere garantito, in base ai costi di produzione
«La protesta è nata in maniera spontanea, sull’onda di quello che è accaduto nel nord Europa – spiega Joseph Silvestri, allevatore di prima generazione della Fattoria La Marchigiana di Agugliano (An) -, ma le motivazioni sono diverse e complesse. Serve un dialogo con il governo e con tutte le associazioni di categoria». Nella sua azienda a conduzione familiare, Joseph si prende cura di nove razze, tra cui la Marchigiana, promuove un’agricoltura rispettosa del suolo e della sua fertilità, e produce cereali e foraggi per l’alimentazione dei propri animali. «I punti cardine su cui chiediamo di intervenire – spiega Joseph – sono chiari: un prezzo minimo garantito di annata in annata in base ai costi di produzione e azioni concrete che tutelino le nostre produzioni rispetto all’import estero, che non viene sottoposto alle medesime regole nazionali».
Vogliamo prati, siepi, biodiversità per le nostre api
Floriano Turco, apicoltore che ad Elva (Cn), nella Valle Maira, porta avanti l’azienda certificata biologica più alta d’Italia, sfidando le avversità che comporta l’ambiente montano per realizzare mieli che restituiscono le essenze delle praterie alpine.
«Il nostro è un mestiere sempre più difficile. Oltre agli adempimenti burocratici a cui siamo soggetti, che aumentano per chi come me fa biologico, e all’incognita del meteo, ci sono due grandi minacce, entrambe risolvibili con applicazione e lungimiranza politica. La prima riguarda il miele estero (extra Unione in particolare) che sta invadendo il nostro Paese, proveniente da nazioni che spesso non brillano per trasparenza e sicurezza alimentare e hanno regole di produzione diverse dalle nostre. Ma il malessere più grande è la scomparsa della biodiversità. Tra monocultura, cementificazione e pesticidi, la vita delle api è messa a forte rischio. Questo non vuol dire solo non avere più miele: tre colture alimentari su quattro dipendono per resa e qualità dall’impollinazione. Quindi basta pesticidi e più aree adibite a prato e siepi».
Un prodotto, oltre a essere buono, può far vivere bene una comunità
Il grano è stato uno dei temi più caldi al centro delle proteste, e nelle ultime settimane i prezzi, soprattutto di quello duro, sono scesi di nuovo vertiginosamente a causa del crollo delle quotazioni dei cereali. «Il nostro problema è la misurazione del valore – dichiara Michele Sica della Cooperativa Sociale Terra di Resilienza-Monte Frumentario. Bisogna misurare la ricaduta sulla società di un determinato prodotto. Un pane, oltre a essere buono, può far vivere meglio una comunità: chi lo produce e chi lo consuma. E questa esternalità positiva è quantificabile, così come sono misurabili i costi ambientali e salutistici di modelli produttivi oggi non più sostenibili. Le food policies europee devono sostenere o penalizzare chi produce in base al modello impiegato».
L’olivicoltura intensiva non può essere il futuro
Secondo Giuseppe Pandolfi, olivicoltore a Vinci (Fi), sono scese in strada poche persone con grandi trattori: «L’agricoltura italiana è fatta di piccole aziende mentre quelle industriali e di grandi dimensioni sono, per ora, nettamente minoritarie, anche se continuano a essere le più ascoltate dalla politica, prigioniera di un modello culturale che collega l’innovazione alla meccanizzazione e alla chimica. Nel settore olivicolo i bandi finanziano impianti di irrigazione invece di sostenere un’agricoltura che usa meno acqua e mantiene vivo il terreno. Gli uliveti intensivi necessitano del triplo di acqua rispetto alle colture tradizionali ad albero, dove la chioma copre il terreno. Lo dimostra la Spagna, dove per il caldo e la mancanza di acqua la produzione è precipitata. Quel sistema è distruttivo, del territorio, del paesaggio, del suolo… Sono cadute nel vuoto due richieste che hanno fatto capolino nella protesta per essere subito messe a tacere. La richiesta di un giusto prezzo, o prezzo minimo, archiviata perché tocca i rapporti di potere con la grande distribuzione e l’intermediazione finanziaria. Ora è tutto squilibrato a favore della grande distribuzione e il cibo è trattato come una merce, una commodity. E la richiesta del principio di reciprocità: i prodotti importati devono rispettare gli stessi requisiti di quelli italiani. All’Ue chiederei di capovolgere la logica alla base dei finanziamenti pubblici all’agricoltura. Si dovrebbe integrare il reddito di chi pratica un’agricoltura virtuosa, vincolandoli al raggiungimento di alcuni obiettivi in termini di eliminazione dei pesticidi di sintesi e mantenimento della biodiversità».
Terreni a riposo e rotazioni = maggiore produttività
Un altro punto dibattuto riguarda la cancellazione dell’obbligo (per chi ha più di 10 ettari di seminativi) di lasciare a riposo il 4% dei terreni per accedere ai contributi comunitari, riposo previsto naturalmente da chi lavora in biologico. «Non è vero – sottolinea Marco Loconte, agricoltore nell’entroterra di Genova – che i terreni lasciati a riposo sono improduttivi, perché le rotazioni garantiscono una maggiore produttività dei terreni, permettono di mantenere il suolo in salute, rigenerandolo senza prodotti di sintesi. A differenza delle monocolture, avere un sistema agricolo variegato con prati e filari favorisce l’avifauna e l’entomofauna, e sono proprio gli uccelli e gli insetti i migliori antiparassitari».
Una ricerca scientifica indipendente, al servizio di chi produce cibo buono, pulito e giusto
Gianluca Colombo, viticoltore in Langa, ha le idee chiare su un aspetto spesso trascurato: la ricerca scientifica. «Le misure finora messe in campo riguardano principalmente le sovvenzioni economiche, ma sarebbe più opportuno dare vantaggi competitivi alle aziende sostenibili. Occorre investire su una ricerca indipendente, per trovare soluzioni che rendano l’agricoltura rispettosa del suolo più competitiva in termini di costi di produzione. Non possiamo lasciare la ricerca in mano alle multinazionali».
Dobbiamo investire su un’agricoltura capace di far fronte alla crisi climatica, alla carenza di acqua, attenta al benessere animale che produca cibo buono, pulito e giusto.